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RimiNy, su questa rotta fotografica tra Rimini e New York

da Redazione

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Occhi che guardano gli occhi. Obiettivi che si intrecciano, che esplorano, che si contaminano. In un abbraccio. Tra Silvio Canini e Cristina Brolli, un libro di foto: “Riminy”.

 

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di Alessandro Carli

 

Checché se ne dica, è ancora (e sempre) un discorso di punctum. E’ una storia di sguardi (Roland Barthes), quella che si intreccia nel libro fotografico “Riminy”, il gioco di occhi che vede Silvio Canini e Cristina Brolli (nella foto) vicini in un viaggio che fa da ponte tra Rimini e New York. Presentato giovedì scorso nel giardino bellariese di Alfredo Panzini, il prezioso volume racconta una magia: il doppio sguardo, spesso allineato, dei due artisti. Come in Antonin Artaud, anche in “Riminy” – illuminata crasi che annulla tutti i chilometri che separano le due città – lo spettatore “è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda”. Attraverso l’accorgimento dello “scatto lontano” – nelle immagini si vede la fotografia eseguita e una fotografia stile backstage – esce “fotograficamente” un dialogo.  Un dialogo che si erge a inno dell’amicizia: Brolli “ferma” Canini a NY, e Canini cristallizza l’attimo di Brolli a Rimini. La pubblicazione “trasferisce” sulla carta il gioco a scacchi dei due: squarci riminesi rubati (piazza Cavour nel giorno del marcato, ripresa dalla vecchia pescheria: un attimo che colpì anche Fabrizio De André, che volle quell’immagine in bianco e nero nel suo album, “Rimini”, del 1978), angoli sconosciuti e altri più celebri (la gigantesca macchina fotografica a telemetro che osserva la “rotonda” del Grand Hotel, che nella sequenza del libro viene ripresa in linea, quasi Canini volesse avere una panoramica horizon sulla composizione dell’immagine), tutti levigati attorno al concetto di attimo. Un attimo che diventa, seriamente, gioco: dalla linearità della trilogia “soggetto-demiurgo-osservatore” (panorama, fotografo che scatta e fotografo che riprende), si passa, in alcuni scatti, alla risposta del soggetto, che si inserisce nel processo di osmosi Canini-Brolli, diventando il terminale di una profondità di occhi. E’ il caso del gioco della stazione di Rimini, dove alcuni viaggiatori ricambiano il favore, fotografando con una compatta digitale (Davide e Golia) la reflex di Cristina Brolli. Ma c’è anche l’imponenza della Grande Mela, un gabbiano che fugge impaurito (un grande “mosso”, questo di Silvio Canini: l’attimo dello stacco e dell’apertura delle ali dell’uccello), i volti degli abitanti di New York, ground zero, le gambe dei corridori, l’anima yankee di una città che assorbe e regala colori. Ai soggetti fermati, fa da contraltare un grande rigore geometrico delle composizioni: alle linee secche, taglienti di NY, risponde il concetto felliniano di immagine, che si sviluppa – in molte fotografie di Cristina Brolli a Rimini– nell’abolizione degli spigoli. Gli angoli di NY – così amati da Canini nella Grande Mela – in Romagna vengono smussati dalla storia della città, dai frame dei film del Maestro, dalle rotondità del mare. Per scelta, i due artisti sono “ciechi”: nelle immagini infatti non appaiono mai i loro occhi, bensì solamente le schiene, o i profili. E’ come se l’occhio esterno volesse mettere la firma begli scatti, evitando però l’appiglio dei ritrattisti, che – davanti al mare – ci mettono un po’ a capire che gli occhi del regno di Nettuno va cercato nelle onde. Un lavoro compiuto, impreziosito dalla prefazione di Cesare Padovani, uomo dalla raffinata cultura, in grado di capire il concetto di punctum anche senza fotografare.

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