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Mercato del lavoro, l’UE cambia le regole

da Redazione

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Ecco cosa dice la normativa 492/2011 in materia di circolazione dei lavoratori. San Marino: sparirebbero i frontalieri. E la PA si riempirebbe di comunitari…

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di Alessandro Carli

 

Unione europea o spazio economico europeo? Aprirsi verso il Vecchio Continente, per la Repubblica di San Marino, significa anche dover rivedere – ex novo – le normative che regolarizzano il mercato del lavoro.Nei giorni scorsi infatti il Parlamento europeo, di concerto con il Consiglio europeo, ha approvato il codice sulla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Ue. Il regolamento, il numero 492/2011, è già stato inserito in G.U.U.E. (Legge 141/1). L’Europa ha voluto metter mano alla normativa in quanto il testo di riferimento – il numero 1612 – portava la data del 1968 ed era chiaramente vetusto: negli ultimi “40 e passa anni” infatti il mercato del lavoro e la stessa Europa, ha subito molti cambiamenti. Mutatis mutandis, se il Titano fosse in UE (o quando ci sarà) verrebbe di fatto abolito il distinguo tra i lavoratori sammarinesi e quelli frontalieri, un tema ancora di estrema attualità (su tutti, le frizioni con la vicina Italia, ma non solo: sul Monte potrebbero salire anche i cittadini di altri Stati dell’Ue). Il nuovo regolamento specifica infatti che gli unici paletti che possono essere piantati sono quelli che possono essere giustificati da motivi di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e di sanità pubblica. E’ quindi esclusa la Pubblica amministrazione: con il regolamento numero 492/2011 dell’Unione europea, verrebbe sgretolato uno dei capisaldi “storici”, quello che ha di riflesso indotto ai mali cronici del clientelismo e del nepotismo che appesantiscono la macchina pubblica. L’accesso alla Pubblica amministrazione sammarinese da parte dei lavoratori italiani è stata bloccato, di fatto, nel 1972. La legge numero 41/1972 infatti ha infatti superato l’accordo tra San Marino e Roma, previsto dall’articolo 4 della Convenzione del lontano 31 marzo 1939, che testualmente recitava: “I cittadini dei due Stati saranno ammessi, nel territorio dell’altro, all’esercizio di qualsiasi industria, commercio professione o arte e potranno accedere a qualsiasi pubblico impiego a parità di condizioni con i nazionali”. L’articolo 31 della Legge 41 del 1972 infatti chiarisce che “E’ fatto obbligo al dipendente statale di risiedere effettivamente nel territorio della Repubblica. Il Capo del Personale concede, su conforme parere della Commissione Consultiva, deroghe a tale obbligo per giustificati motivi”. E poiché non vengono concesse residenze per lavorare nella PA, il posto pubblico resta ad appannaggio dei cittadini del Titano. Il Regolamento europeo 492/2011 di fatto però supererebbe la normativa sammarinese: anche in questo caso varrebbe il principio della superiorità della normativa europea rispetto a quella nazionale.

 

Ue: i 42 punti del reg. 492/2011


Di sicuro interesse l’articolo 1, che tratta nello specifico l’accesso all’impiego. Ogni cittadino di uno Stato membro, “qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad un’attività subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato”. Il cittadino, per l’articolo 2, “gode in particolare, sul territorio di un altro Stato membro, della stessa priorità riservata ai cittadini di detto Stato, per l’accesso agli impieghi disponibili”. Ogni cittadino di uno Stato membro e ogni datore di lavoro che esercita un’attività sul territorio di uno Stato membro, “possono scambiare le loro domande e offerte d’impiego, concludere contratti di lavoro e darvi esecuzione, conformemente alle vigenti disposizioni legislative, regolamentari e amministrative senza che possano risultarne discriminazioni”. Nel quadro del regolamento non sono applicabili, come sottolinea l’articolo 3, le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro che “limitano o subordinano a condizioni non previste per i suoi cittadini la domanda e l’offerta d’impiego, l’accesso all’impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri” o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, “hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall’impiego offerto”. Quando in uno Stato membro l’attribuzione di qualsiasi vantaggio a talune imprese è subordinata all’impiego di una percentuale minima di lavoratori nazionali (articolo 4), “i cittadini degli altri Stati membri sono considerati come lavoratori nazionali, fatta salva la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”. L’articolo 6 presenta un altro fattore di rilievo: l’assunzione e il reclutamento di un cittadino di uno Stato membro per un impiego in un altro Stato membro non possono essere subordinati a criteri medici, professionali o altri criteri discriminatori in base alla cittadinanza rispetto a quelli applicati ai cittadini dell’altro Stato membro che intendono esercitare la stessa attività. Sull’esercizio dell’impiego e parità di trattamento, l’articolo 7 chiarisce – quasi a voler evidenziare il principio di parità di trattamento – che il lavoratore cittadino di uno Stato membro “non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato”. Un regolamento all’insegna dell’uniformità e della parità di trattamento, che si esplica anche nelle indicazioni contenute nell’articolo 8: il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro “gode della parità di trattamento per quanto riguarda l’iscrizione alle organizzazioni sindacali e l’esercizio dei diritti sindacali, ivi compreso il diritto di voto e l’accesso ai posti amministrativi o direttivi di un’organizzazione sindacale. Egli può essere escluso dalla partecipazione alla gestione di organismi di diritto pubblico e dall’esercizio di una funzione di diritto pubblico. Gode inoltre del diritto di eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori nell’impresa”. Parimenti, “i diritti e i vantaggi accordati” riguardano anche “l’alloggio, ivi compreso l’accesso alla proprietà dell’alloggio di cui necessita”. In merito alle famiglie dei lavoratori (articolo 10), il regolamento annota che i figli del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un altro Stato membro, “sono ammessi a frequentare i corsi d’insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono. Gli Stati membri incoraggiano le iniziative intese a permettere a tali figli di frequentare i predetti corsi nelle migliori condizioni”. Gli articoli 11 e seguenti affrontano la collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione europea. In estrema sintesi, gli Stati che aderiscono all’Unione europea devono scambiarsi tutte le informazioni sugli impieghi disponibili e sulle opportunità offerte dal mercato del lavoro. In particolar modo, per quel che concerne il meccanismo di compensazione (articolo 13), i servizi per l’impiego degli Stati membri si devono “passare” reciprocamente le proposte di lavoro. Sulla base di una relazione della Commissione elaborata a partire dalle informazioni fornite dagli Stati membri, questi ultimi e la Commissione analizzano almeno una volta l’anno e in comune i risultati delle disposizioni dell’Unione europea in materia di offerta e di domanda di posti di lavoro (articolo 17). A fare da elemento di unione tra gli Stati membri, l’Ufficio europeo per il coordinamento della compensazione delle domande e delle offerte di lavoro. L’Ufficio ha in generale il compito di favorire, a livello di Unione, l’azione volta a mettere in contatto o a compensare le domande e le offerte di impiego. In particolare, esso è incaricato di tutti i compiti tecnici attribuiti in materia alla Commissione a norma del presente regolamento e segnatamente di prestare assistenza ai servizi nazionali per l’impiego. L’Ufficio europeo di coordinamento è incaricato fra l’altro di coordinare le operazioni pratiche necessarie, a livello dell’Unione, per compensare le domande e le offerte di lavoro, e analizzare i conseguenti movimenti di lavoratori; contribuire, in collaborazione col comitato tecnico a mettere in atto a tal fine, sul piano amministrativo e su quello tecnico, i mezzi di azione comune; mettere in contatto, qualora si manifesti una particolare necessità, d’intesa con i servizi specializzati, le domande e le offerte di lavoro la cui compensazione sarà attuata da tali servizi. Gli articoli 21-34 regolamentano i ruoli e le competenze di altri organi, che devono garantire la libera circolazione dei lavoratori.

 

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