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Omicidio Aldo Moro, la pista dei Servizi portò sul Titano

da Redazione

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Il Sisde sulle tracce di Dario Fo e Franca Rame. Società a San Marino di radio e tv libere. Ingente conto di Lagostena Bassi, seguita poi in Cecoslovacchia.

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di Saverio Mercadante

 

San Marino nell’ambito delle indagini dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro finì sotto il mirino dei servizi segreti italiani sulle tracce di Dario Fo, Franca Rame, l’avvocato Tina Lagostena Bassi  e suo marito, considerati in qualche modo vicini “all’indotto” del terrorismo italiano. Il 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse in via Fani a Roma rapisce Aldo Moro e con geometrica potenza di fuoco uccide i 5 agenti della scorta. Per l’intelligence italiana furono mesi di grandissima confusione e di enorme attività che portarono le spie italiane sulle piste più diverse. Quella del terrorismo giapponese, addirittura, come quelle del terrorismo palestinese e tedesco. Si sospettava di tutti e di tutto. Anche di Sereno Freato, il segretario particolare di Aldo Moro: i Servizi supponevano che fosse il postino delle famose lettere di Aldo Moro fatte arrivare alla stampa dal carcere del popolo delle Brigate Rosse. Di quei giorni terribili che rischiarono di schiantare lo Stato italiano e causarono divisioni terribili nei partiti e nella società italiana, e che lasciarono strascichi personali e politici che ancora si fanno sentire, arrivano ora testimonianze dirette dalle migliaia di rapporti degli 007 italiani che la Presidenza del Consiglio con encomiabile trasparenza ha consegnato all’Archivio centrale dello Stato. Nei documenti declassificati prodotti dai servizi segreti italiani durante il sequestro e dopo la morte di Aldo Moro, pubblicati la scorsa settimana in parte su La Repubblica, quello che più salta agli occhi è l’assoluta mancanza di certezze da parte degli investigatori italiani. Ipotizzarono, per esempio, che Renato Curcio non poteva essere la mente del sequestro, ma sospettarono fortemente del leader dell’Autonomia Operaia Toni Negri, a tal punto che Francesco Mazzola, sottosegretario alla Difesa con delega ai Servizi, invita il Generale Santovito ad acquisire gli elenchi di tutti gli studenti che hanno frequentato le lezioni del professore padovano. Mazzola ipotizzava il fatto che alcuni di questi fossero passati in clandestinità, specialmente, “se mancano le loro foto in segreteria”. Le indagini, a più di un anno dal ritrovamento del corpo del presidente della Democrazia Cristiana nella Renault 4 rossa in via Caetani a Roma, tra la sede della DC e quella del PCI, continuarono senza sosta e coinvolsero anche San Marino.

 

Il Titano in una velina dei servizi segreti

 

In una velina dei Servizi dell’8 maggio 1979 resa pubblica dalla Presidenza del Consiglio proprio in questi giorni si legge: “Diverse emittenti libere radio e tv della sinistra rivoluzionaria di varie città, costituite come società a San Marino, godono di finanziamenti ingenti provenienti da canali sconosciuti, che consentono loro di sopravvivere data la assoluta mancanza di altri introiti palesi. Sovrintenderebbero al giro, senza apparire Dario Fo e Franca Rame, l’avvocato Tina Lagostena Bassi e il marito esperto di tecnica bancaria. I coniugi Lagostena vengono seguiti nei loro spostamenti. Hanno un ingente conto in banca a San Marino. Hanno compiuto un viaggio a Cracovia da dove si sarebbero spostati in Cecoslovacchia, grazie a un visto concesso dalle autorità consolari cecoslovacche in Polonia”. L’avvocato Tina Lagostena Bassi era stata l’avvocato nel processo del massacro del Circeo ad opera di tre neofascisti. Dario Fo e Franca Rame  erano vicini a Soccorso Rosso, struttura organizzativa italiana che negli anni di piombo forniva assistenza legale e monitoraggio delle condizioni carcerarie dei militanti della sinistra extraparlamentare in carcere o latitanti. In una precedente velina del Sisde del 20 gennaio del 1979 si affermava che “due sospetti brigatisti, Alessio Floris e Rosolino Paglia, avrebbero avuto contatti con Franca Rame per organizzare spettacoli a fini di finanziamento delle Brigate Rosse”.

 

Il ricordo di Gabriele Gatti

 

“In quel maggio del 1978 (Moro venne ritrovato il 9 maggio, ndr) ci furono le elezioni a San Marino e io mi candidavo per la prima volta”. Gabriele Gatti, storico leader della Democrazia Cristiana sammarinese ricorda quei mesi tragici di più di trent’anni fa: “I dirigenti delle Dc di allora erano Federico Bigi, Clara Boscaglia, Gian Luigi Berti. Era caduto un governo DC-PSI. E le sinistre vinsero quelle elezioni che si tennero un paio di settimane dopo la morte di Moro. Nel mezzo della campagna elettorale ci fu questo fatto gravissimo. Organizzammo subito una grande manifestazione, oceanica. La situazione era drammatica sembrava che ci fosse un vero pericolo per lo stato democratico italiano. Le Br erano al loro apice nella lotta contro lo Stato. Allora c’erano rapporti molto stretti specialmente con Forlani e Andreotti. Io non conobbi mai Aldo Moro personalmente. Lo aveva incontrato Giancarlo Ghiroldi; era il segretario di Stato uscente per gli affari esteri”. “Che io sappia – prosegue Gatti – non ci sono mai stati rapporti tra le polizie dei due Stati in relazione al rapimento Moro. E devo dire che non ho mai saputo nulla di questo intervento dei Servizi segreti a San Marino. Forse influì il fatto che c’era un governo delle sinistre. Vi erano molte polemiche su un presunto rapporto con l’Unione Sovietica”. Francesco Cossiga era a suo tempo il ministro degli interni: uscì traumatizzato e incanutito precocemente da quella tragedia. “Da presidente della Repubblica ebbe rapporti frequenti con San Marino. Ma lui grande conversatore che parlava volentieri delle Br e degli anni di piombo, quando si parlava di Moro cambiava radicalmente umore. Si vedeva che era una vicenda che lo aveva segnato, ferito. Non si dava pace per non averlo salvato”. “C’era un ferreo segreto bancario allora  – conclude Gatti – e non credo che ci fu un qualche tipo di collaborazione. A mio avviso, mi sembra plausibile, che ci fu una iniziativa diretta dei Servizi italiani”.

 

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