Il Paese si salva se si salva il lavoro? Oppure il lavoro si salva se si riescono a salvare le imprese, e di conseguenza il Paese? Intanto il sindacato, al grido “Viva San Marino”, gioca ad affossare una ad una le singole grandi aziende. Editoriale di Fixing, oggi in edicola.
di Loris Pironi
SAN MARINO – Il Paese si salva se si salva il lavoro? Oppure il lavoro si salva se si riescono a salvare le imprese, e di conseguenza il Paese? È una questione, questa, su cui il sindacato non si è arrovellato troppo nelle ultime settimane. Avrebbe dovuto, ma purtroppo così non è stato. Le imprese sono alle corde per la crisi dei mercati, ma qui non servirebbe Fixing a ricordarlo. Sono in difficoltà per le relazioni con l’Italia, tra black list e decreto incentivi. Sono impastoiate da un mercato del lavoro che impedisce una sana concorrenza non tanto con gli stakanovisti cinesi (figuriamoci) ma addirittura con i vicini italiani, che a loro volta si lamentano di essere il fanalino di coda dell’Europa in quanto a produttività e lotta alla burocrazia.
In questo contesto, al grido “Noi amiamo San Marino”, il sindacato si getta in una picchiata kamikaze di scioperi a tappeto. Davvero un’ottima idea: fermiamo le grandi aziende, le uniche con cui davvero lo Stato riesce a far cassa in questi tempi cupi, le uniche a cui ci si può aggrappare, per dire che vogliamo rilanciare l’economia.
Alzi la mano chi non ci vede un lieve controsenso in questa iniziativa della CSU.
CSU che chiama in causa direttamente gli industriali, colpevoli di aver messo in atto un tira e molla sugli aumenti salariali. Perché – lucidità esemplare – effettivamente il vero problema è proprio uno zero virgola in più o in meno, non il fatto che le imprese (parliamo delle imprese sane, quelle che producono reddito e posti di lavoro) stanno venendo lentamente soffocate da un sistema inadeguato e incapace di rinnovarsi. Allora sì, è meglio andare azienda per azienda a far fermare le macchine. E che muoia Sansone, con tutti i Filistei.
