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In Italia la e-economy avanza ma non troppo

da Redazione

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La Rete in salsa italiana ancora non convince sino in fondo. Qualche ingrediente sembra azzeccato, l’equilibrio va ancora trovato per essere vincente. In Italia, insomma, la e-economy continua a stentare.

di Saverio Mercadante

 

La Rete in salsa italiana ancora non convince sino in fondo. Qualche ingrediente sembra azzeccato, l’equilibrio va ancora trovato per essere vincente. Il rapporto della Boston Consulting e di Google pubblicato nei giorni scorsi mostra ancora incertezze. Gli italiani impazziscono per gli smartphone. I cellulari che permettono di navigare nella grande rete digitale, sono posseduti addirittura da 15 milioni di italiani e utilizzati da 10 milioni per andare sul web; 450 mila impiegano questo mezzo anche per fare acquisti. E sul fronte delle imprese quelle più quelle più internettizzate guadagnano di più e crescono di più. Interessante quello che accade nelle piccole e medie imprese. Le Pmi italiane che puntano al marketing o alla vendita in rete hanno registrato negli ultimi tre anni una crescita media dei ricavi dell’1,2%. E’ un dato molto significativo: sono riuscite a crescere nel triennio della crisi economica, mentre chi non ha usato questi canali sul web ha avuto performance molto peggiori. Le piccole e medie imprese che si limitano ad essere in rete solo con un sito web nello stesso triennio hanno visto il giro d’affari calare del 2,4% e quelle che non hanno nemmeno un sito si sono contratte del 4,5%.

WorldWideWebLe incertezze si manifestano nell’Indice di intensità Internet creato dalla stessa Boston Consulting. I parametri: diffusione della banda larga, spese per acquisti e pubblicità online e livello di attività delle imprese, delle istituzioni e dei consumatori che usano Internet. Qui l’Italia si colloca in un desolante penultimo posto fra i Paesi Ocse (i più sviluppati del mondo) davanti solo alla Grecia.

Altre piccole luci: a fine 2010 i siti con il suffisso “.it” hanno superato i 2 milioni e Internet è consolidato come fattore propulsivo dell’economia italiana. Boston Consulting e Google quantificano la nostra Internet economy in 31,6 miliardi di euro nel 2010, pari al 2% del prodotto interno lordo (+10% rispetto al 2009). Per capirci, l’agricoltura in senso stretto vale il 2,3% del Pil.

Eppure rispetto al resto dell’Europa l’Italia è ancora parecchio indietro: due studi di Boston Consulting mostrano generato da Internet il 7,2% del Pil britannico e il 7,3% di quello danese. Più del triplo di quello italiano. Ai 31,6 miliardi vanno aggiunti i 7 miliardi di euro del cosiddetto e-procurement della Pubblica amministrazione e i 17 miliardi di euro delle merci direttamente nei negozi ma cercate prima dai clienti in quello elettronico di Internet. Tenendo conto anche di queste voci, l’impatto diretto e indiretto del web sull’economia italiana supera i 55 miliardi di euro nel 2010. Il dato di Inghilterra e Danimarca non teneva conto di questi fattori. Le previsioni comunque non sono cattive. Il rapporto calcola che con una crescita annua attesa fra il 13% e il 18% dal 2009 al 2015 l’Internet economy italiana rappresenterà nel 2015 fra il 3,3% e il 4,3% del Pil, cioè fra i 59 e i 77 miliardi di euro. Per ogni euro di crescita del Pil italiano da qui al 2015, in media 15 centesimi potranno essere riconducibili all’espansione dell’Internet economy (12 o 18 centesimi a seconda dello scenario).

 

Lo scenario inglese

Web a go – go, nonostante la crisi in Inghilterra. Internet incide sull’economia interna con un fatturato annuo di circa 115 miliardi di euro, di cui la metà generato dagli acquisti online.

L’e-commerce britannico si piazza, infatti, subito dietro la finanza e rappresenta il 7,2% del Pil nazionale. Un fenomeno in ascesa ripreso proprio nel rapporto del Boston Consulting Group su commissione di Google. Entro il 2015 Internet potrebbe addirittura arrivare a toccare la soglia del 13% del prodotto interno lordo superando di quattro punti percentuali la finanza (9%), ma anche il commercio tradizionale dovrebbe arrivare a raggiungere quota 11%, e il settore manifatturiero il 12%. Le dot.com britanniche impiegano circa 250 mila persone e la maggior parte rientrano nella categoria piccole e medie imprese. Il traino più importante per la crescita in Gran Bretagna proviene da società a conduzione familiare che, grazie al web, hanno consolidato la loro presenza sul mercato raggiungendo un’esposizione globale. Tanto è vero che oggi il Regno Unito esporta beni e servizi del valore di 2,80 sterline per ogni bene importato del valore di una sterlina, ha spiegato Paul Zwillenberg, partner di BCG e coautore del rapporto. “La forza dell’e-commerce spiega anche l’ingente fatturato della pubblicità online. Settore che, con i suoi 3,5 miliardi annui è secondo solo agli Stati Uniti”. Molto compiaciute le considerazioni dall’amministratore delegato di Google Uk, Matt Brittin, che sempre in merito ai dati emersi dal rapporto voluto proprio da Google ha potuto appurare come “i britannici fanno shopping online più di qualsiasi altro Paese membro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse)”. “Sapevamo tutti quanto Internet avesse modificato l’accesso all’informazione e alla comunicazione – ha commentato – ora per la prima volta possiamo constatare quanto il suo utilizzo da parte del business britannico contribuisca alla ricchezza nazionale, tanto da farne un pilastro dell’economia britannica. A questo punto, la rete sarà vitale per la prosperità futura del Regno Unito”. Una fonte di ricchezza enorme che ha spinto l’esecutivo britannico a dichiare guerra al digital divide per consentire a tutti i cittadini, entro il 2015, di potere usufruire di una connessione veloce nella propria abitazione.

A questo proposito, la Virgin Group ad esempio, inizierà ad offrire il servizio superveloce a 100 Mb – definita ‘la Ferrari della banda larga’ – già a partire dal prossimo mese di dicembre ed entro la metà del 2012 terminerà la posa dei cavi a livello nazionale.

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