Quattrocentomila studenti italiani hanno urlato tutta la loro disperazione. Il tredicesimo rapporto di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei neolaureati italiani non lascia scampo alle nuove generazioni.
di Saverio Mercadante
Quattrocentomila studenti italiani hanno urlato tutta la loro disperazione. Il tredicesimo rapporto di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei neolaureati italiani non lascia scampo alle nuove generazioni. Occupazione, stipendi, stabilità, tutti i dati dell’indagine indicano un penoso passo indietro. Raddoppia il fenomeno di chi non ha un contratto e la mobilità sociale è ancora una chimera, l’ascensore sociale è una pia illusione: i laureati di famiglie operaie guadagnano quasi duecento euro al mese in meno dei colleghi di estrazione borghese. Dura, dura, la crisi non fa sconti. La Commissione Europea ha fissato al 40 per cento l’obiettivo strategico della quota di laureati per la popolazione di età tra 30 e 34 anni. Da raggiungere entro il 2020. In Italia siamo nel mezzo del cammin di nostra vita laureata. Investimenti in ricerca e istruzione? Chiedere a Tremonti e Gelmini. Il destino di questi poveri, precari, disoccupati laureati sconvolgerà non solo le loro vite ma quella di tutto un Paese.
Triennale o specialistica, la disoccupazione ti morde e non ti lascia. Il 16,2 per cento dei laureati “brevi” è disoccupato a un anno dal conseguimento del titolo di studio. Nel 2008 erano l’11 per cento. Peggio ancora con la specialistica: i disoccupati quest’anno sono il 17,7 per cento (erano il 10,8 per cento).
Piccola rivalsa dei neolaureati nella guerra tra poveri con i diplomati.
Durante l’intera vita lavorativa, hanno un tasso di occupazione superiore di undici punti percentuali a quella dei diplomati: sono quelli che pagano di più la crisi.
Ma è solo uno spiraglio di speranza: crolla ancora il numero dei laureati che risultano impiegati cinque anni dopo aver conseguito il titolo. Il campione osservato è quello dei laureati pre-riforma.
Tra il 2005 e il 2010 la contrazione è di quasi cinque punti percentuali. Cinque anni fa erano il 90,3 per cento quelli che erano riusciti a trovare lavoro. Oggi sono l’85,6 per cento.
A tre anni dalla laurea, il 75 per cento dei laureati con la specialistica hanno un impiego mentre il 13 per cento è ancora senza e ne sta cercando uno. Trova lavoro chi esce da percorso medico e professioni sanitarie (98 per cento), i laureati del gruppo economico-statistico, di architettura (entrambi quasi 86 per cento) e quelli di ingegneria (84,7 per cento).
Calo verticale dell’occupazione per i laureati nel gruppo geo-biologico (47,1 per cento), chimico-farmaceutico (48,5 per cento), giuridico (50,2 per cento) e scientifico (62,3 per cento).
Non ha fine il peggioramento delle condizioni contrattuali dei primi impieghi. I contratti atipici oggi interessano più di quattro laureati “brevi” su dieci. Calano i rapporti di lavoro stabili: dal 50,7 per cento al 46,2. A un anno dalla laurea chi consegue la specialistica non se la passa bene per niente.
Quest’anno hanno un contratto atipico il 46,4 per cento (erano il 41,4 nel 2008) mentre solo il 35 per cento è riuscito a strappare un contratto stabile. Per chi è uscito dagli atenei cinque anni fa, dato questo che riguarda in particolare i laureati pre-riforma, la stabilità dell’occupazione coinvolge il 71 per cento dei casi.
Il lavoro nero intellettuale oramai è una condizione endemica. Tra chi ha concluso la specialistica, i laureati occupati senza contratto sono quest’anno il 7 per cento (il doppio di quanti erano nel 2008). Sono aumentati anche i laureati “brevi”: oggi sono costretti a lavorare in nero il 6 per cento (erano il 3,8 per cento). Tra gli specialistici a ciclo unico, la quota è quasi dell’11 per cento.
Quindi poco lavoro, in nero, e con stipendi sempre più bassi. Un’intera generazione che fa passi da gigante indietro rispetto ai propri padri.
Lo stipendio dei laureati “brevi”, in termini reali, è scesa del 5 per cento. ancora più penalizzante per chi porta a compimento la specialistica: caduta del potere di acquisto è stata del 10 per cento. E l’esperienza conta poco o niente sul salario. A cinque anni dalla laurea, il potere d’acquisto delle retribuzioni dei laureati con un impiego è diminuito, in cinque anni, di quasi il dieci per cento.
L’indagine mostra una società statica, impaludata, c’è una debolissima dinamica sociale. A cinque anni dal titolo il 73 per cento dei laureati di estrazione borghese ha un contratto stabile. Nella stessa condizione solo il 68 per cento dei loro coetanei di famiglie operaie. Identica location in ambito retributivo. I laureati della borghesia, dopo cinque anni, hanno uno stipendio di 1.404 euro mentre per chi ha un’estrazione operaia la retribuzione mensile si ferma a 1.249 euro.
Quindi che ci stiamo a fare in Italia? Via, via, vieni via con me, cantano le sirene degli altri Paesi.
I laureati specialistici quelli che hanno scelto di lavorare all’estero sono il 4,5 per cento. La maggior parte proviene da famiglie economicamente favorite, risiede e ha studiato al Nord. E già durante l’università ha avuto esperienze di studio al di fuori del proprio Paese. Fuori dall’Italia spesso le condizioni sono migliori. Ad un anno dalla laurea, ha un lavoro stabile il 48% degli italiani occupati all’estero, 14 punti percentuali in più rispetto al complesso degli specialistici italiani occupati in patria. Inoltre, gli specialistici che si sono trasferiti all’estero guadagnano 1.568 euro. Chi rimane si deve accontentare di 1.054 euro.