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I distretti tecnologici e la battaglia della crisi

da Redazione

Sono una forza d’urto composta da diciotto battaglioni e combattono la battaglia della crisi a loro modo. Il loro esercito iper specializzato è composto da 200.000 persone. Occupano quattro settori vitali. Sono i distretti tecnologici.

di Saverio Mercadante

 

Sono una forza d’urto composta da diciotto battaglioni e combattono la battaglia della crisi a loro modo. Il loro esercito iper specializzato è composto da 200.000 persone. Occupano quattro settori vitali. Sono i distretti tecnologici. Nascono nei primi anni zero del terzo millennio e hanno tre caratteristiche fondamentali: sono aziende hi-tech, sono mossi da investimenti iniziali pubblici e privati e sono promossi direttamente dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. Il Miur li riconosce e li finanzia. L’obiettivo è la creazione di poli di ricerca e di innovazione costituiti da aziende, università e centri di eccellenza e favorire lo scambio di conoscenze scientifiche. Si diventa vincenti insieme: un sistema integrato di piccole imprese protagonista sui mercati mondiali e con la possibilità di confrontarsi con i competitor più importanti in India, Cina e Stati Uniti. Nel 2009 il fatturato dei distretti tecnologici ha segnato una contrazione solo del 4% contro il meno 20% dei distretti tradizionali, secondo il rapporto Economia e finanza dei distretti industriali di Intesa San Paolo, il primo a esaminare in pieno il nuovo fenomeno. “ È difficile che il Paese possa riacquistare a breve una posizione di punta sul piano dell’alta tecnologia – si legge nel rapporto – ma queste sacche di resistenza possono comunque dare molte opportunità di crescita e garantire effetti di spillover importanti sull’intera industria”. Sono distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio italiano: 8 nell’ICT (fabbricazione di computer, prodotti di elettronica, software), 5 nell’aeronautico (aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi), 4 nel farmaceutico (prodotti di base e preparati farmaceutici) e uno nel biomedicale (strumenti e forniture mediche e dentistiche). E proprio in Emilia Romagna, a Mirandola, c’è una storia esemplare di distretto tecnologico a specializzazione biomedicale. Oggi vanta 292 imprese e quasi 5mila addetti. Grandi e piccole aziende che solo nel periodo 1998-2007 ha creato 70 brevetti. Per tutti è la Plastic Valley per la sua specializzazione nella lavorazione di materie plastiche ad uso terapeutico. Si producono componenti monouso, apparecchiature per emodialisi, prodotti per la cardiochirurgia, la trasfusione-autrotrasfusione, l’anestesia e la rianimazione. E’ considerato il più importante polo industriale nel settore a livello europeo, nel mondo è superato per importanza solo da quelli di Minneapolis e Los Angeles. Qui è stato è stato realizzato il primo rene artificiale italiano e lo scorso anno il rene artificiale per neonati. Si chiama Carpediem ed è l’acronimo di Cardio Renal Pediatric Dialysis Emergency Machine ovvero il primo rene artificiale in miniatura al mondo dedicato ai neonati con gravi insufficienze renali. E’ ideato dalla scuola nefrologica dell’ospedale San Bortolo di Vicenza e realizzato a Mirandola. E’ una macchina delle dimensioni di una macchina per il caffè studiata per le esigenze dei neonati Nei casi di bambini con insufficienza renale acuta si pensa di poter abbattere la metà della mortalità, che ora si avvicina al 90%. La macchina costerà sui 250mila euro ed è stata già richiesta da Usa, Inghilterra e Francia. Finora i bambini fino ai 3 chili venivano trattati con macchine tarate sugli adulti con gravi rischi di scompenso o di fallimento della terapia.

 

Brevetti

 

L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (Uibm) rivela che nel 2010 sono stati depositati 9.636 brevetti, ma solo un terzo di questi sono stati registrati all’Ufficio Europeo. Questo significa che l’Italia è ferma a 2.300 depositi europei, mentre la Svizzera è a quota 6mila, la Francia 9mila e la Germania addirittura 2mila. Nel 2006 l’Ufficio europeo per i brevetti aveva ottenuto circa 4.900 richieste dall’Italia: in quattro anni la flessione è stata notevole. Nel contesto europeo l’Italia era tra i Paesi che, tra il 2000 e il 2006, avevano avuto un incremento maggiore: all’Ufficio europeo per i brevetti si era passati da 70 brevetti per milione di abitanti del 2000 a 84 brevetti nel 2006. Le cifre italiane, già allora, erano molto sotto la media europea, che si collocava a 114 brevetti per milioni di abitanti, grazie a Stati come Germania e Svezia che depositavano oltre 280 brevetti per milioni di abitanti. Guardando i dati italiani riferiti al 2006, si scopre che è l’ Emilia – Romagna la regione con maggiore intensità brevettuale, con 188 brevetti per milioni di abitanti. Dopo vengono Lombardia (151), Friuli – Venezia Giulia (144) e poi il resto del Nord: Piemonte, Veneto, Toscana, Liguria. Nettamente più bassi i dati del Mezzogiorno e, quel che è peggio, il divario negli anni aumenta. Nel 1996 il Molise, ultima regione della classifica, aveva 3 brevetti ogni milione di abitanti, mentre l’Emilia – Romagna 102,7. Nel 2006 le cifre passano a 0,3 per il Molise e 188 per l’Emilia – Romagna.

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