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Il latte di San Marino? Fa bene alla salute dei consumatori

da Redazione

Il latte e i suoi derivati? Fanno davvero bene alla salute dei consumatori. “Come il cacio sui maccheroni”: le parole degli esperti del Consorzio Terra di San Marino.

SAN MARINO – “Latte, yoghurt, burro e formaggio: ricchi di natura” recitava – qualche anno fa – un famoso e orecchiabile jingle pubblicitario.
Sul prezioso alimento, il primo che dà nutrimento all’uomo quando nasce, si è concentrato l’appuntamento de “La Fabbrica del Gusto” intitolato “Come il cacio sui maccheroni”.
L’evento, organizzato dal Consorzio Terra di San Marino, ha visto un parterre du roi di tutto rispetto, trattare – sotto i diversi aspetti, da quello sanitario a quello nutrizionale – il latte e tutti i suoi derivati. Dopo alcuni versi del poeta Francesco “Checco” Guidi sul tema, l’intervento del direttore della Azienda Autonoma Centrale del Latte Paolo Musci, che ha ripercorso la storia della Centrale: “E’ stata fondata nel 1962 da una cordata di imprenditori lombardi, ma solo agli inizi del ’70 è stata acquistata dallo Stato sammarinese. Oggi raccogliamo circa quaranta quintali di latte al giorno: una parte finisce nel circuito della distribuzione entro 24 ore come latte intero o parzialmente scremato, mentre un’altra parte viene ‘pensata’ per i derivati, ovvero i formaggi, che spaziano dal ‘fresco’ a quello ‘stagionato’. Il ‘fossa’ viene fatto maturare fuori dai confini della Repubblica”.
Le parole di Anna Maria Ercolani, dietologa presso l’Istituto per la Sicurezza Sociale, hanno fatto chiarezza su un dubbio: il latte può essere assunto anche tutti i giorni. “Nel latte troviamo proteine, zuccheri, grassi, calcio, fosforo, sali minerali e vitamine: tutti elementi che incontriamo in qualsiasi dieta”. Attenzione però ai formaggi, sia stagionati che freschi (i primi contengono il doppio delle calorie rispetto a quelli meno stagionati): secondo la nutrizionista, “andrebbero consumati due o tre volte alla settimana”.
Maurizio Berardi, dirigente del Dipartimento per la Prevenzione, ha spiegato che “quando si parla di latte, per legge si intende quello di vaccino, mentre la specificazione risulta obbligatoria per le altre produzioni, come ad esempio per il latte di capra, di asina, eccetera”. Anche il latte è a rischio igienico-sanitario. Tre, in estrema sintesi, sono i pericoli: di natura chimica, biologica e infettiva. “Per rischio chimico – ha sottolineato Berardi – si intendono i residui di farmaci, pesticidi e aflatossine. Per biologici invece la contaminazione diretta dall’animale, o le contaminazione esterne. Le malattie infettive che possono contagiare l’animale sono la brucellosi, la salmonella e la listeria”. Cosa si può fare? Solo prevenzione. Oppure la bonifica tramite calore, che porta direttamente a un argomento molto pratico: quello delle etichette del latte. Cosa significa ‘latte pastorizzato’ oppure ‘UHT’? Quali le differenze organolettiche? Berardi ha spiegato che “il latte fresco pastorizzato, ovvero intero e parzialmente scremato, viene pastorizzato a una temperatura oscilla tra i 60 e i 65 gradi per 30 secondi (pastorizzazione bassa) oppure tra i 75 e gli 85 gradi per 15 secondi (pastorizzazione alta) e ha una durata di 5 giorni. Il latte sterilizzato, UHT, viene invece sottoposto a calore quando è già confezionato (120 gradi per 15-20 minuti) è può durare 180 giorni.
A fine serata, il momento della degustazione. Gian Battista Castagnetti, docente della Facoltà di Scienze della Produzione Animale, Università degli Studi di Bologna, ha accompagnato i partecipanti ad un viaggio nel sapore.
Su un piatto sono stati presentati cinque formaggi diversi per caratteristiche organolettiche, tecnica di lavorazione e stagionatura: dal formaggio fresco, al formaggio di fossa, fino al parmigiano, passando per le caciotte. In bocca, un’esplosione di sentori: dalla freschezza dei formaggi più giovani, sino alla corposità degli stagionati, che – dietro al primo impatto al palato – poi fanno riecheggiare un retrogusto di erba delicata.

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