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Il mal d’Africa tocca l’economia

da Redazione

Prima la Tunisia, ora la bufera in Egitto: tutti preoccupati.

di Saverio Mercadante

 

E’ atterrato con il suo Falcon qualche giorno fa all’aeroporto di Cagliari Elmas. Ben Ali, l’ex presidente cacciato dalla Tunisia dalla rivoluzione del pane e dei gelsomini, dopo aver provato a trovare asilo a Parigi e aver ricevuto un sonoro no dal premier Fillon preoccupatissimo delle reazioni dei 600.000 tunisini di Francia, ha tentato con Berlusconi. Troppi problemi in questo momento per Silvio. Ben Alì è decollato dalla Sardegna e ha raggiunto l’Arabia Saudita. Ma perché Ben Ali c’ha provato anche con l’Italia? Berlusconi aveva ottimi rapporti con il presidente tunisino: in Tunisia possiede una televisione, Nessma TV. La televisione satellitare tunisina acquisita, lo scorso anno, per il 50 per cento, da Mediaset e da Quinta Communications, società di produzione di Tarak Ben Ammar di cui è socio di rilievo anche il gruppo Fininvest e nel cui capitale, alla fine di giugno, è entrata, tramite la Lafitrade, anche Tripoli. Ma soprattutto l’Italia è il secondo partner commerciale, dopo la Francia, della Tunisia. L’interscambio commerciale tra Italia e Tunisia si assesta oltre i 5 miliardi di euro. L’Italia è il secondo partner commerciale tunisino, sia come cliente sia come fornitore, e il secondo mercato di sbocco più importante del Mediterraneo per i prodotti italiani. Il Maghreb rappresenta storicamente una regione chiave per gli interessi economici italiani: i Paesi della regione (Libia, Tunisia, Algeria e Marocco) stanno sperimentando una crescita particolarmente sostenuta e offrono numerose opportunità per le aziende italiane, sia dal punto di vista dell’import/export, sia per quanto riguarda gli investimenti diretti o la delocalizzazione. Ancora più importante il rapporto dell’Italia con l’Egitto. L’Egitto in fiamme preoccupa infatti molte imprese italiane che fanno affari nel paese e, di conseguenza, la comunità degli investitori che puntano sulla crescita di tali aziende. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto tra i paesi dell’Ue. Le imprese italiane che operano nello stato sono circa 500. L’Egitto si conferma insomma uno dei principali clienti arabi dell’Italia, che vi esporta per circa 3 miliardi di euro, prevalentemente prodotti energetici, chimici, tessili e dell’abbigliamento, metalli e prodotti della meccanica. Oltre all’Eni, sembra che lo staff del colosso del cane a sei zampe stia per abbandonare il Paese, in Egitto operano anche altri importanti blue chip come Impregilo, Buzzi Unicem, Italcementi, Fiat e Enel. Ma il fatto principale che i mercati stanno analizzando risiede nella possibilità che venga chiuso il Canale di Suez. L’Egitto non è tra i maggiori produttori di petrolio del Middle East ma vede transitare ogni giorno grandi quantità di oro nero. Un’eventuale chiusura di questo passaggio dal Medio Oriente all’Europa, causerebbe dei ritardi nelle consegne della materia prima, seguiti da aumenti del prezzo all’importazione del greggio con conseguenti innalzamenti dei livelli di prezzo al consumo. Una iattura per i consumatori della maggior parte dei Paesi industrializzati della Terra. E non è un caso infatti che a inizio settimana Israele abbia fatto pervenire un messaggio confidenziale agli USA e ad alcuni paesi europei, chiedendo loro di sostenere Mubarak e il suo governo, duramente contestati dal movimento di piazza che sembra inarrestabile. Secondo quanto riferito dal quotidiano Haaretz, in questo messaggio i responsabili israeliani sottolineano che è “interesse dell’Occidente” e di “tutto il MO mantenere la stabilità del regime in Egitto. Occorre di conseguenza mettere un freno alle critiche pubbliche contro il presidente Mubarak”. L’Egitto è la chiave di volta sulla quale si regge dal 1978 il precario arco della “non guerra” totale in MO fra Israele e i suoi vicini, da più di 30 anni. Intanto la crisi egiziana ha fatto crollare le Borse del Golfo arabo, mentre il listino del Cairo restava chiuso, dopo essere sceso del 16% la scorsa settimana.

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