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Nuova Era: prima e dopo Mirafiori

da Redazione

Fiat: enormi questioni aperte dal contratto approvato dopo il referendum.

di Saverio Mercadante

 

Solo nel 2012 andrà a regime il contratto più importante del dopoguerra. Il Rapporto tra capitale e lavoro, il concetto di rappresentanza, il diritto di sciopero, la ridefinizione del contratto nazionale, la centralità del lavoro all’interno delle società avanzate dopo la sbornia della finanziarizzazione, l’incapacità della politica di guidare lo sviluppo dell’Italia, sono le enormi questioni che il contratto di Mirafiori e la vittoria dei Si ha sollevato. Un anno, un lungo anno, durante il quale, si dovrà tentare di rifondare partendo da Mirafiori le nuove relazioni industriali. Qualcuno afferma che Marchionne si sia caricato sulle spalle il peso della modernità, della globalizzazione per sbloccare un Paese che più che mai sembra immobile, ingessato. Il tema della globalizzazione e del trasferimento del benessere dalle cosiddette società opulente verso le società emergenti è “come la catastrofe nella tragedie”. Ineluttabile. In pochi lustri l’industria dell’automobile è andata in crisi nelle economie avanzate. La domanda non riesce ad assorbire la produzione. Quindi la battaglia si decide con la difesa dei mercati nazionali dalla concorrenza e con la conquista di quote di mercato nei paesi emergenti. Interi settori produttivi si trovano nelle stesse condizioni la siderurgia, la petrolchimica, il tessile, l’industria alimentare, la meccanica, l’informatica. Rimane una pia illusione sperare nel livellamento a breve dei salari dei Paesi emergenti. Ci vorranno decenni. Anche se lentamente, molto lentamente i salari, specialmente in Cina per esempio stanno salendo.

 

Condivisione del rischio d’azienda

 

Chi è il padrone di Marchionne? O meglio: chi è il padrone del gruppo Chrysler-Fiat di cui Marchionne è il manager? Si domandava prima del referendum a Mirafiori Eugenio Scalfari nel suo editoriale domenicale su La Repubblica. Il padrone, rispondeva il fondatore dl quotidiano romano, cioè il proprietario, “è il sindacato dei lavoratori Chrysler, che possiede la quota di controllo del capitale attraverso il suo fondo-pensione”. Hanno ridotto a metà i loro stipendi, i lavoratori Chrysler, ma l’azienda è loro. Se torneranno al profitto saranno loro a disporne. Il proprietario Fiat, specie dopo lo “spin” del gruppo, è un proprietario simbolico sulla via del disimpegno ”. Sergio Marchionne, qualche giorno fa in un’intervista rilasciata a Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, affermava che era possibile la partecipazione agli utili dell’azienda per i lavoratori e un rialzo dei salari (“Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia”), anche se condizionato a una maggiore efficienza nelle spese di utilizzo degli impianti. Ma ribadiva che non era possibile nessuna rinegoziazione dell’accordo raggiunto a Mirafiori (“Il discorso è chiuso”), le cui condizioni si estenderanno anzi agli stabilimenti di Melfi e Cassino. Cesare Romiti, il grande manager Fiat, che negli anni del terrorismo nelle fabbriche, sconfisse il sindacato con la famosa marcia dei quarantamila, in questi giorni va dicendo che è un grande errore quello di dividere il sindacato. Perché ci può essere un grande problema di governabilità sulla linea: moltissimi no vengono proprio dagli operai che sono alla catena di montaggio. Ma la scommessa vera si gioca innanzitutto sulla nuova competitività della Fiat. Se per ammissione di Marchionne il costo del lavoro pesa per il sette per cento nel valore di un’automobile, riacquisire quote di mercato perdute, lanciare nuovi modelli, rispondere alle nuove esigenze del mercato globalizzato, diventa decisivo per garantire profitti e lavoro. L’altro scommessa sarà sul fronte della condivisione del rischio e sul suo controllo. Da una parte aumentare la produttività imponendo nuovi comportamenti, nuovi orari, maggiore intensità nelle prestazioni, divieto di assenteismo e di sciopero, ma dall’altra è necessario inventarsi nuove forme di condivisione del controllo dell’azienda. La soluzione adottata dalla Volkswagen forse può essere un riferimento: una “governance” aziendale a doppio binario: un consiglio di sorveglianza dove siedono anche i rappresentanti dei lavoratori e un consiglio di amministrazione che ne attua la strategia. O, il già citato caso Chrysler dove i lavoratori di fatto sono proprietari dell’azienda. Vedremo nei prossimi mesi quali saranno i dettagli del famoso “Piano Italia”, da venti miliardi, di cui ancora si sa ben poco. L’altro tema enorme rimane quella del ruolo di Confindustria e in particolare di Federmeccanica, che Emma Marcegaglia sembra voler coniugare sul concetto di “alternatività necessaria per flessibilizzazione del settore”, come affermava qualche tempo fa il direttore generale di Federmeccanica Roberto Santarelli. Con il voto di Mirafiori il contratto nazionale di lavoro non è morto, ha osservato il presidente di Confindustria. Il caso Fiat “non è assolutamente la fine del contratto nazionale di lavoro”. “Finora – ha precisato – abbiamo lavorato secondo la logica che una cosa vale per tutti, ma questo sistema non funziona più. Noi dobbiamo fare si che ogni impresa, attraverso le relazioni sindacali, trovi il modo per aumentare la produttività”. Il contratto nazionale, secondo Emma Marcegaglia, potrà a questo punto diventare “più leggero” ma non è segnata la sua fine.

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