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Dalla pittura di Rembrandt al “Gusto” della carne

da Redazione

Come cucinarla, come riconoscerne le caratteristiche, come scongelarla.

Come la pittura di fiori, anche quella di tavole imbandite, altro tema classico della natura morta tout-court – cela, di fatto, precisi significati economici: l’allusione all’opulenza e al benessere è di tutta evidenza, anche se spesso soltanto apparente. Ne è un esempio “Il bue macellato” di Rembrandt, preso come timone per il viaggio che il Consorzio Terra di San Marino ha programmato all’interno del laboratorio “Gusto”. Rembrandt ha elevato, per mezzo della sua arte sublime, una materia così ingrata a dignità artistica, poiché non ha voluto rappresentare il fatto in sé, ma la sua emozione di fronte a quell’ammasso di muscoli che vibra sotto i colpi della luce, emanando l’odore dolciastro del sangue. E’ partito proprio dalla straordinaria pittura dell’artista europeo “Carne e buoi dei paesi tuoi”, alla scoperta delle caratteristiche (e della cottura) di uno dei cibi più amati. Il dottor Antonio Putti del Dipartimento di Prevenzione ISS, nelle prime battute del suo intervento, ha chiarito un concetto-base, che fa luce su una eterna disputa: “Con il nome generico di carne si identifica di solito l’alimento ricavato dalla macellazione di animali da allevamento, di selvaggine e cacciagione, e della pulitura del pesce”. Nella fattispecie delle carni bovine – argomento-cardine della serata – Putti ha evidenziato che “la differenza tra quelle rosse e quelle bianche o rosate va ricercata nella quantità di mioglobina presente, ma anche dall’età dell’animale, dalla razza, dall’alimentazione e dal tipo di allevamento”. Una carne buona e sana deve essere sempre leggermente grassa: è il segnale del buon stato di salute dell’animale. “Non tutti sanno – ha infatti chiarito Putti – che il sapore della carne è dato in gran parte dal suo grasso, che contribuisce a mantenere la tenerezza sciogliendosi nel liquido di cottura e lasciando, all’interno della carne, la giusta quantità d’acqua. Il muscolo della carne troppo magra, durante la cottura, va incontro a un processo di contrazione delle fibre, lasciando una carne compatta, dura e insipida”. La carne infatti ha una percentuale d’acqua piuttosto elevata, pari a circa il 65-70% del peso. Sulla qualità delle carni sammarinesi non ci sono dubbi: Edoardo Angelini, direttore della Cooperativa Allevatori, ha spiegato come i disciplinari di produzioni siano molto severi dal punto di vista dei controlli e che, sul Titano, già da tempo sia attivo un sistema informatico per documentare la carne proveniente, nel segno della trasparenza e della tracciabilità. Il dottor Petracci, ricercatore dell’Università di Bologna, si è soffermato invece sui comportamenti dei consumatori: “Davanti ad un pezzo di carne, ci si sofferma subito sul colore. Poi, una volta a casa, si valuta la tenerezza ed il sapore”. Ma è parimenti importante la cottura, da quella più al sangue (“rare”, in inglese), alla “ben cotta (“well done”, in terra d’Albione). Dalla teoria alla degustazione, a breve giro di posta: il ricercatore ha illustrato ai partecipanti le diverse tenerezze e le differenti frollature, ricordando in conclusione che “lo scongelamento è meglio effettuarlo in frigorifero”.

 

Chimica della carne

 

Non tutte le carni hanno lo stesso valore nutrizionale. E nemmeno la stessa percentuale di grassi. Petracci, nel suo intervento, ha spiegato che, “per quel che concerne i grassi, si può passare dal 10,2% del biancostato al 3,2 dell’ossobuco, al 5% del filetto, all’1,8% della fesa”. E se la percentuale di ferro ha un’oscillazione piuttosto limitata (“Dall’1,1% del biancostato all’1,9% del filetto”), l’apporto energetico è diverso a seconda dei tagli, così come il grado di umidità e le proteine (tra il 19,7% e 22% della sottofesa). “Le proteine – ha sottolineato Petracci – sono la matrice fondamentale dei tessuti che compongono il nostro corpo. Il fabbisogno giornaliero si aggira attorno ai 2 grammi al chilo per i bambini e di un grammo per gli adulti”.

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