Pescato. In Libia. Dopo otto mesi. Giulio Lolli, imprenditore bolognese, patron di Rimini Yacht, ricercato per associazione a delinquere, truffa, appropriazione indebita, falso, riciclaggio, latitante, era a Tripoli.
RIMINI – Pescato. In Libia. Dopo otto mesi. C’era chi dava per certo che si trovasse sotto qualche palma ai Caraibi a sorseggiare drink tranquillamente adagiato su un’amaca. E invece Giulio Lolli, imprenditore bolognese, patron di Rimini Yacht, ricercato per associazione a delinquere, truffa, appropriazione indebita, falso, riciclaggio, latitante, era a Tripoli.
La lunga mano della Procura di Rimini l’ha raggiunto quindi sulle coste nordafricane, in virtù del mandato di cattura internazionale sottoscritto dal Pm Davide Ercolani.
L’arresto è giunto sabato scorso ma la notizia è stata resa nota soltanto ieri.
Il meccanismo che – secondo l’accusa – aveva messo in piedi Lolli con la sua azienda specializzata in imbarcazioni di lusso era molto semplice: lo stesso yacht veniva venduto a più acquirenti diversi. A un certo punto Rimini Yacht entra in crisi. La magistratura comincia a muoversi al seguito di un giro di assegni protestati, a luglio scatta l’inchiesta sulle tracce di un’imbarcazione da 5 milioni di euro scomparsa dalla Darsena di Rimini. Si scopre quindi un buco finanziario da 50 milioni di euro e mentre l’azienda viene dichiarata fallita, Lolli diventa uccel di bosco.
Accanto a questo filone, la magistratura di Bologna ne apre un secondo che prevede come ipotesi una serie di verifiche fiscali da parte della Guardia di Finanza in qualche modo pilotate. Un filone che ha portato all’arresto di quattro ufficiali della Gdf e, come conseguenza indiretta, al suicidio dell’ex generale delle Fiamme Gialle Angelo Cardile.
Per Lolli, dopo questi mesi di latitanza, si prevede un periodo piuttosto intenso: i magistrati riminesi lo attendono per sottoporlo ad un fuoco di fila di domande. La richiesta di estradizione alla Libia è già partita, l’imprenditore emiliano tra qualche giorno avrà modo di fornire ai magistrati la propria versione dei fatti.