L’Iva britannica passa dal 17,5% al 20%: una mazzata. Autentica batosta sui consumi. E’ tempo di austerity. Le impopolarissime scelte del ministro delle Finanze George Osborne dovrebbero frenare il debito pubblico e preservare il bilancio con tagli per altri 13 miliardi di sterline.
di Saverio Mercadante
Le strade inglesi sino al 4 gennaio erano piene di manifesti che pubblicizzavano l’ultima possibilità di fare acquisti con la Vat al 17,5%. E di cartelli esposti dai negozianti sui quali era scritto “Vat Freeze”, “Iva congelata”, ovvero qui si può comprare agli stessi prezzi di dicembre. L’Iva inglese che passa al 20% è il vero storico passaggio che certifica la crisi e le enormi difficoltà che il governo Cameron, in caduta libera di consensi, dovrà affrontare nei prossimi anni per rimettere in sesto il bilancio dello stato. L’aumento della Vat non è stato applicato agli alimenti, ai giornali, ai libri, e all’abbigliamento per bambini. Le impopolarissime scelte del ministro delle Finanze George Osborne dovrebbero frenare il debito pubblico e preservare il bilancio con tagli per altri 13 miliardi di sterline. Tagli come quelli sugli aiuti per i nuovi nati per famiglia, storico pilastro del welfare inglese: furono introdotti dal governo laburista nel Dopoguerra. I tagli alle famiglie e l’aumento delle tasse universitarie rientrano in un piano di ridimensionamento della spesa pubblica del 25%. I debiti sovrani, i debiti degli stati, dopo che i debiti privati hanno scatenato la crisi, sono la nuova emergenza degli stati europei. Le famiglie con un reddito di 70 mila sterline (la media è 45 mila sterline), secondo uno studio condotto dalla società di revisione Deloitte per conto del Times, si troveranno 561 sterline in meno in un anno. Meno ottimistiche le previsioni di alcune organizzazioni umanitarie, come Save the Children o Oxfam: l’aumento dell’Iva andrà a penalizzare le famiglie con i redditi più bassi che si troveranno a fine anno un buco di 1.600 sterline. Ma il simbolo psicologico della crisi è senza dubbio la pinta di birra: i pub della regina ormai la vendono oltre il prezzo medio di tre pound. Un dramma per i cittadini del Regno Unito che abbasseranno i tradizionali robustissimi consumi di birra con gravi conseguenze sul settore. Sfondare la soglia delle tre sterline significa moltissimo. Nel giro di un anno si è passati da 2,84 pound ai 3,06 di oggi. Solo 20 anni fa la pinta costava poco più di una sterlina. Dal 2007 il numero di pinte consumate ogni giorno è sceso da 14 a 11 milioni. I pub chiudono a migliaia, e i britannici vivranno nell’epoca del caro Iva privi del luogo più amato. Secondo la British Beer and Pub Association, il comparto rischia di perdere 8.800 posti di lavoro. Secondo la Federation of Small Businesses (Fsb), con l’aumento al 20% della Vat, mentre le grandi realtà riusciranno a stare a galla, per le piccole il contraccolpo rischia di essere fatale. La Fsb teme addirittura un azzeramento del recruitment, la selezione per le assunzioni. Anche gli automobilisti saranno tartassati: dal 4 gennaio un litro di benzina nel Regno Unito costa almeno 1,20 sterline (1,40 euro). E sarà di conseguenza sempre più duro vendere auto, settore già in crisi da anni. Una Ford Focus, per esempio, ha un prezzo di listino di 15.195 sterline, che diventano 15.518 Vat inclusa, con un incremento di più di 300 sterline. L’altro rischio reale per i poveri consumatori di Sua Maestà è che molti negozianti potrebbero fare i furbi. Catene e negozi hanno promesso di non applicare la nuova Vat per mesi, mantenendo quella vecchia al 17,5%. La realtà sarebbe ben diversa. Molti sarebbero pronti ad aumentare i prezzi del 5-8%, nascondendosi dietro alla Vat e scaricando la responsabilità sul ministero del Tesoro. Un po’ quello che è successo in Italia con il passaggio all’euro, dove in tanti, troppi ne hanno approfittato. Questo micidiale mix di aggravi fiscali e tagli senza precedenti nella storia inglese ha innescato quello che è stato definito il Double bit: più prelievi, meno incentivi. Unico sollievo in questa palude di bassi consumi: gli inglesi continuano a pagare il mutuo per la casa agevolati da un ridimensionamento dei tassi di interesse. L’innalzamento delle tasse comunque non ha pesato solo sulle tasche dei consumatori ma anche sulle aziende che taglieranno le assunzioni. E l’Iva pesa come un macigno sulle imprese: più sono piccole, più faticano a gestire la liquidità.