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Terre rare, adesso che farà  la Cina?

da Redazione

Siete tutti avvisati, questa volta la prendo alla lontana. Altro che regole del giornalismo, che dicono che in ogni “pezzo” bisogna partire subito con la cosa più importante! Qui si gioca invece con le regole del go, gli scacchi cinesi, per cui dove si va a parare lo si vede solo verso la fine.

di Paolo Brera

 

Siete tutti avvisati, questa volta la prendo alla lontana. Altro che regole del giornalismo, che dicono che in ogni “pezzo” bisogna partire subito con la cosa più importante! Qui si gioca invece con le regole del go, gli scacchi cinesi, per cui dove si va a parare lo si vede solo verso la fine. E a quel punto, anticipiamolo, possono essere fatti acidi. Ammettiamo dunque che abbiate seguito qualche lezione di chimica, al liceo scientifico o all’università. Quando vi insegnano la tavola degli elementi di Mendeleev, dài e dài si arriva a un gruppo di sostanze chiamate “terre rare”, composto dallo scandio, dall’ittrio e dai lantanoidi, che hanno i nomi più singolari che ci siano. Se qualcuno alza la mano e fa domande sulle terre rare, il professore in genere risponde “Non preoccupatevi, l’interrogazione non verte mai su questo” e passa all’argomento successivo. Insomma, sulle terre rare si può pure errare. Purtroppo, quella è storia di ieri, non di oggi. Ormai a livello mondiale l’interrogazione verte eccome sulle terre rare. E la risposta influenzerà l’avvenire economico del pianeta. Le terre rare non sono veramente rare nella crosta terrestre. Il nome deriva da un fatto incidentale, ormai sepolto nella memoria. In effetti, di terre rare uno ne può trovare la quantità che vuole. Basta scavarle fuori da sottoterra. Il problema, quello dalla cui soluzione dipende il voto sul registro, è che quasi tutte le miniere si trovano in Cina. Il 95% della produzione si fa in quel Paese. Altro che Opec, altro che oro e diamanti. La concentrazione dell’estrazione è ormai un problema geopolitico di prima forza. Già, perché le terre rare non sono rare neppure nei prodotti dell’industria. Anzi, sono praticamente ubique. E senza di loro non c’è iPad o iPod, non c’è telefonino, non c’è televisore. Perfino il sorriso di Berlusconi si spegne sul video, per mancanza di video, se non ci sono le terre rare. Che si sia arrivati a questo punto è certamente una sorpresa. Per anni le miniere cinesi hanno messo fuori mercato quelle degli altri Paesi, uno dopo l’altro. La loro estrazione ha effetti secondari pericolosi dal punto di vista ambientale, e tutti i Paesi sono stati ben lieti di ritirarsi dalla scena e comprare dalla Cina, senza pensare all’altro lato della storia, quello pericoloso. A questo punto, infatti, se vuoi del lantanio, del promezio, dell’olmio o del lutezio, per non parlare del praseodimio, ti conviene allenarti a chiederlo per piacere in idioma mandarino. E ovviamente, non è detto che te lo diano. In effetti, i cinesi ne danno sempre di meno, di terre rare. Dal 1970 al 2006 circa la politica di Pechino, che come al solito guarda al lungo termine e applica il modo di pensare del go, un gioco intrinsecamente strategico, è stata di diventare l’unico produttore o quasi. Dal 2006 in poi, invece, ogni anno ha visto il taglio dei contingenti all’export di una percentuale variabile dal 5 al 10%. Nel luglio di quest’anno il taglio annunciato è stato del 70%. In settembre, Stati Uniti e Giappone sono stati completamente privati di terre rare: vedi caso, proprio mentre si acuivano le loro liti con la Cina (nel caso del Giappone, a causa delle isole dei Pescatori, rivendicate da Pechino). E allora riproviamoci: quali sono le terre rare? Scandio, ittrio, lantanio, cerio, praseodimio, sbarbio, neodimio, promezio, samario, europio, manlio, gadolimio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio. State tranquilli che alla prossima interrogazione in chimica ve lo chiederanno, e a quel punto non dovrete elencarne né una di meno né due di più… come invece ho fatto io. Come si sia potuti arrivare a una situazione del genere, con la monopolizzazione quasi completa di prodotti indispensabili per l’industria più moderna, è difficile da capire. La Cina nega di avere ambizioni di dominio, dice semplicemente che al ritmo attuale di esportazione le sue riserve si esaurirebbero in meno di vent’anni. Inoltre, i suoi piani a medio termine prevedono l’aumento delle produzioni ad alta tecnologia, divoratrici di terre rare. Di qui il taglio all’esportazione. Ma qualche taglio più selettivo, che vada a punire chi dà fastidio a Pechino, non può certo essere escluso. Anzi, se la storia dell’umanità offre una qualche traccia per capire il futuro, più che non essere escluso è da considerarsi praticamente certo, sia pure con l’accompagnamento dei sorrisi e delle parole gentili di cui i cinesi sono culturalmente prodighi. Quel che è più grave, le terre rare sono particolarmente importanti nelle produzioni “verdi”, come il fotovoltaico. Le riserve di terre rare sono abbondanti anche in altri Paesi (in effetti, i due terzi delle riserve si trovano fuori della Cina). La Russia, i Paesi dell’Asia Centrale, il Vietnam, il Nordamerica e l’Australia posseggono giacimenti importanti, il cui sfruttamento in alcuni casi è stato abbandonato per la concorrenza cinese. Quanto ci vorrà per metterli o rimetterli a contribuzione? Dalla risposta a questa domanda dipende non solo il voto in chimica, ma anche il futuro prossimo della nostra economia.

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