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L’economia sommersa in Italia vale il 22% del PIL

da Redazione

Economia sommersa, sono dolori per l’Italia a caccia disperata di fondi. Uno studio Visa dice infatti che l’Italia ha il primato (negativo) nell’Ue, con un sommerso che vale il 22% del Pil, ben 335 mld.

Con una percentuale di oltre 22,2 punti sul Pil totale, il sommerso in Italia raggiunge quota 335 miliardi di euro, in linea con i dati medi del resto d’Europa che misurano in 2.200 miliardi l’ammontare complessivo dell’economia nascosta a livello Ue. Tuttavia lo Stivale detiene il primato – tra i primi 15 Paesi membri originari dell’Unione – della maggiore incidenza di ‘sommerso’ rapportato al Pil. Un dato, questo, che colloca l’Italia ben lontano da Irlanda e Austria, in cima alla classifica dei mercati europei trasparenti (13 per cento e 9 per cento rispettivamente). Lo rivela una ricerca presentata da Visa Europe.

Più in dettaglio, si legge, gli ultimi 5 anni hanno visto dapprima una flessione dell’incidenza dei flussi dell’economia sommersa di tre punti percentuali sul totale del Pil italiano per lo più legata, nel triennio 2005-2008, al successo di alcune misure economiche. Il triennio successivo, 2008-2010, ha evidenziato invece una risalita dell’incidenza dell’economia nascosta sulla crescita italiana. A causa del conclamarsi della crisi economico-finanziaria mondiale sul finire del 2008 e della conseguente stretta fiscale, dal 21,4 per cento la quota dell’economia sommersa sul Pil italiano è tornata a crescere attestandosi attorno al 22,2 per cento.

Sebbene ci siano degli elementi comuni al diffondersi di questo fenomeno in tutti i Paesi dell’Unione europea, esistono dei fattori peculiari per ogni sistema economico: in Italia, spiega la ricerca, le principali ragioni connesse alla diffusione del fenomeno sono da ricercarsi in un sistema di tassazione particolarmente sfavorevole e nel forte radicamento del crimine organizzato nel tessuto economico. "Malgrado i tentativi realizzati dagli organismi regolatori per contrastare l’economia sommersa, la diffusione di questo fenomeno nel nostro Paese è ancora a livelli altissimi – ha dichiarato Davide Steffanini, direttore generale Visa Europe in Italia -. La presenza del sommerso comporta innanzitutto evasione fiscale, sottrae risorse al bilancio pubblico e distorce la concorrenza. Dal nostro studio emerge che questo è dovuto in parte alla mancanza di un forte senso sociale che porti a riconoscere come ‘colpevole’ il comportamento di evasione fiscale e in parte all’esplicita volontà di alcune categorie produttive di mantenere flussi di danaro fuori dalla tracciabilità dei pagamenti. E le operazioni non tracciabili sono per loro natura quelle legate ai contanti". Proprio un uso più limitato dei contanti e una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici, sostiene lo studio, ridurrebbe la diffusione dell’economia sommersa con un impatto positivo e immediato su "decine di miliardi di euro". Infatti "per sua stessa natura" il contante "è uno dei principali elementi per lo sviluppo dell’economia sommersa perché è semplice da usare e difficile da rintracciare", di conseguenza "quanto più sono diffusi i pagamenti elettronici all’interno di un paese, minore è la dimensione dell’economia sommersa".

Il ‘sommerso’ è un fenomeno strettamente connesso al lavoro nero e al non-dichiarato, rispettivamente con un rapporto di due terzi a uno della stima totale. La ricerca di Visa Europe ha indicato i settori economici che principalmente sfuggono al controllo della tassazione: la coltivazione diretta, l’edilizia e tutti quei settori che prevedono l’utilizzo di stagionali o di lavoratori occasionali" nonché "tutti quei servizi di assistenza alla persona per i quali è comune in Italia assumere lavoratori stranieri presso le famiglie". Il comparto del non dichiarato, muovendosi di pari passo con quello del lavoro sommerso, tocca praticamente gli stessi settori, interessando in più le Pmi e i piccoli esercizi che – non emettendo fattura o non rilasciando scontrino fiscale – non registrano in entrata o in uscita la maggior parte dei pagamenti in contante. E’ proprio in quest’ottica che una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici consentirebbe di intercettare i pagamenti di piccolo importo che al momento sfuggono al controllo delle autorità. "Lo slancio verso una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici a discapito dell’uso del contante – sottolinea Steffanini – può avvenire su più fronti. Da parte delle istituzioni governative questo potrebbe concretizzarsi con una stretta sui pagamenti in contante a livello sia legislativo, con l’abbassamento dei limiti per i pagamenti in contante, sia a livello pratico, per esempio con l’incremento del numero di dispositivi abilitati ad accettare carte nella pubblica amministrazione. Sul fronte delle banche e delle società che gestiscono i sistemi di pagamento elettronico, quale Visa Europe, le aree principali su cui lavorare per favorire la riduzione dell’uso del contante a favore dei pagamenti elettronici sono – conclude – quelle dei pagamenti da persona a persona, dei cosiddetti low value payments, ossia le transazioni di piccolo importo, dei pagamenti realizzati dalla Pa e, attraverso la diffusione delle tecnologie che permettono l’accettazione ovunque delle carte di pagamento e l’utilizzo quotidiano delle carte stesse".

 

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