Da Fixing n.41, la rubrica Prima Nota di Paolo Brera. Sale il prezzo dell’oro, è allarme rosso per l’economia mondiale. Ma gli 850 dollari all’oncia del 1980, massimo storico, equivalgono ai 2.000 di oggi.
di Paolo Brera
In questi preparativi di guerra valutaria, che rischia di coinvolgerci tutti nelle ostilità e di fare morti e feriti e (patrimoni) dispersi, sarà bene tener conto di alcune realtà che sono in genere ignorate. Potete anche prendere questo articolo, se volete, come una messa in guardia contro la ciarlataneria di un gruppo particolare di consiglieri di investimento, quelli che vogliono farvi comprare oro. Non perché non ci si possa guadagnare. Ma perché è come un gioco d’azzardo, in cui la possibilità del guadagno è ciò che attrae la gente a sottoporsi alla quasi-certezza delle perdite.
E spieghiamoci. Il prezzo dell’oro sta salendo, sui mercati mondiali, ormai da anni. Ultimamente è intorno a 1350 dollari per oncia, il che, per chi è pluriprimaverico e si ricorda ancora il sistema di Bretton Woods, è un bel po’ più dei 35 dollari l’oncia di allora. Dall’inizio dell’anno l’oro si è apprezzato di quasi il 22 per cento. Di recente, l’economista americano Kenneth Rogoff ha buttato lì un’ipotesi che ha del sensazionale (e appunto per questo è stata lanciata…): il metallo giallo che arriva a 10.000 dollari all’oncia. Cifra tonda e formidabile. Ma fuorviante. L’economista osserva che correggendo i valori per l’inflazione che c’è stata, il prezzo di oggi resta lontano dal suo massimo storico, raggiunto nel gennaio del 1980. A quel tempo l’oncia costava 850 dollari, che equivalgono a circa 2.000 degli emaciati dollari di oggi. Il prezzo dell’oro può scendere così come può crescere. Questo non ferma l’orda dei superstiziosi. Scrive Eberhardt Unger che il problema dei valori rispettivi delle monete non si potrà risolvere come propongono la Cina e meno vocalmente altri Paesi quali la Russia e il Brasile, cioè con l’uso degli Sdr (Special Drawing Rights) del Fmi, un paniere di valute simile al vecchio ecu europeo che ha preceduto l’euro, perché l’Sdr “è solo una costruzione artificiale sottoposta a decisioni amministrative, che manca della flessibilità necessaria per adattarsi ai rapidi cambiamenti del mercato”.
Questo però è vero anche di ciascuna valuta mondiale. La nostalgia per una misura del valore che sia materiale e in nessun modo convenzionale fa ripescare per questa funzione l’oro.
Il problema è che l’oro non è meno convenzionale delle valute. Certo, alla fin fine per l’oro esiste un “residuo secco” che non c’è per il dollaro o l’euro: se nessuno volesse più sapere di accettare questi “equivalenti universali”, con l’oro potresti sempre farci un monile mentre le banconote non sarebbero buone neppure per gli usi più immondi, essendo troppo piccole e rigide. Ma i monili non sono cibo, né difendono dal freddo.
Questo modesto valor d’uso residuo non spiega il valore di mercato attribuito all’oro, che proprio come quello delle valute dipende dalla convinzione che tutti hanno di poterne scambiare una certa quantità con i beni o i servizi desiderati.
Che dietro la “spina dorsale” dei fenomeni economici, la moneta, ci sia tanta di quella psicologia da riempire l’intera stiva del Titanic, può sicuramente sorprendere. Molta della fragilità dell’economia dipende appunto dalla labilità della sua spina dorsale. La storia ha conosciuto casi in cui la moneta di un Paese non era più rispettata: iperinflazione, ritorno al baratto ne sono le usuali conseguenze. Qualcosa del genere si sta preparando anche per gli Stati Uniti: a sorreggere il dollaro ormai è solo il pregiudizio, e quando cadrà saranno dolori.
Il vero valore tuttavia non è l’oro. I veri valori sono l’acqua, la terra fertile, la biodiversità, l’energia – in breve, sono tutto ciò che materialmente ci tiene in vita e che val la pena di scambiare solo per acquisire qualcos’altro con la medesima proprietà. Molti Paesi del mondo detengono una parte notevole delle proprie riserve in oro (vedere il grafico). L’oro è loro, ed è l’ora dell’oro, ma non è detto che un giorno potrà davvero servire. In condizioni di vera e profonda crisi, neanche quello conserverebbe il proprio valore. Anche se il fatto che il prezzo stia salendo tanto mostra che nell’economia si stanno accumulando, in effetti, gli elementi della crisi prossima ventura.