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Rimini a teatro: applausi per la compagnia Ricci/Forte

da Redazione

La compagnia Ricci/Forte ha portato a RiminiTroia’s discount” e “Macadamia nut brittle”, graffianti spettacoli iperrealisti che raccontano la contemporaneità: uomini machae su tacchi a spillo, e quella maledetta difficoltà che si chiama “comunicazione”.

di Alessandro Carli

 

Seppur accomunati da un ritmo iniziale abbastanza simile e da una scrittura iperrealista che entra con le unghie nella contemporaneità, “Troia’s discount” e “Macademia nut brittle” – i due spettacoli che la compagnia Ricci/Forte hanno portato a Rimini all’interno dell’ottava edizione del festival teatrale “V d’A” – hanno evoluzioni assai diverse. Il primo lavoro è una versione en travestì dell’Eneide di Virgilio: attingendo agli insegnamenti del Terzo Teatro, l’allestimento è privo di inutili orpelli e punta sul lavoro effettuato dalla compagnia capitolina sul corpo e sulla voce. Didone è uomo (ying e yang) ed è alto, bello, arrampicato su tacchi vertiginosi, e piange il destino avverso. Creusa è una massaia che stira, e che – improvvisamente – viene violentata dagli altri personaggi. Lavinia è una “emo”: ragazzetta magra che “galleggia” e termina la sua esistenza ingabbiata in un carrello da supermarket. In mezzo alle tre donne, Eurialo e Niso, borgatari pasoliniani che – nella confusione sessuale e nella violenza silenziosa della sopravvivenza, si scoprono amanti per poi lasciarsi. Destrutturato e contemporaneo – molte le citazione televisive, dal Grande Fratello ai social network per finire nelle pubblicità – “Troia’s discount” racconta le relazioni degli uomini come una musica dei Radiohead: ruvido e dolce, con impennate improvvise, quasi sincopate. In “Macadamia nut brittle” le indagini messe in scena in “Troia’s” arrivano in platea in maniera più compiuta: c’è ancora il sesso internettiano da chat, l’omosessualità e i baci, ma soprattutto la difficoltà di comunicare che è – oggi – una delle piaghe più dolorose. La partenza “non a martello” (come in “Troia’s”) non deve ingannare: subito dopo l’ouverture, lo spettacolo decolla. Decolla da un attimo preciso: i quattro attori, seduti come al cinema, mangiano un gelato in coppetta e raccontano, a spot e con grande comicità, i loro incontri intimi e crudi. Storie bonsai, brevi e corte, che scendono in platea come una cascata di muffin. La compagnia Ricci/Forte dimostra di saper lavorare su più registri linguistici: alla comicità volgare fa da contraltare il dolore della morte della madre, risucchiata da una malattia e dalle domande orfane del figlio. “Macadamia è una pagina di antropologia culturale” ha detto a fine spettacolo uno spettatore: una pagina cristallina (costruita con pochissimi elementi sul palco) che raggiunge il climax proprio nella chiusa: i protagonisti – sovrastati dalle immagini televisive – si trasformano in personaggi quasi pirandelliani. Il silenzio anticipa la sfilata degli attori: la maschera dei Simpson si appiccica ai loro volti, e, quasi in silenzio, si accovacciano all’interno di tre tende da campo. Aspettano il buio, confortati da una torcia, sapendo che domani, all’alba, non cambierà niente.

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