Contratti derivati: il Tribunale di Rimini dichiara la nullità dei contratti stipulati dal Comune. Palazzo Garampi esulta: “storico primo precedente giudiziario favorevole ad un Ente locale in tale tipologia di contenzioso”.
Contratti derivati, importantissima vittoria, quasi storica, per un’amministrazione comunale. La porta a casa il Comune di Rimini che si è visto dichiarare nulli i contratti stipulati da Unicredit Spa e Unicredit Corporate Banking Spa dal Tribunale di Rimini. La sentenza n.1523/2010, emessa il 12 ottobre scorso, è destinata a fare giurisprudenza in quanto – dichiarano trionfanti da Palazzo Garampi – questa è la prima volta che i contratti vengono dichiarati nulli accogliendo le domande avanzate dall’ente pubblico che, incautamente, si è infilato in un pasticcio che in teoria sarebbe dovuto costare 1,5 milioni di euro alle casse comunali.
In questo modo il Comune di Rimini si vedrà restituire dalle banche il saldo negativo dei differenziali, pari ad Euro 651.632,43, maggiorato degli interessi legali, calcolati dal 30/06/2009.
Il provvedimento giudiziario, emesso dal Tribunale in composizione collegiale (Presidente del Collegio Dott.ssa Carla Fazzini, Giudice Relatore della causa Dott. Francesco Cortesi e Giudice Dott. Andrea Lama), rappresenta, avuto riguardo alla giurisprudenza sinora edita, il primo precedente giudiziario favorevole ad un Ente locale in tale tipologia di contenzioso.
La difesa del Comune di Rimini è stata affidata all’Avv. Luca Zamagni (Studio Legale Cedrini Urbinati Zamagni, partner di Axiis, network legale specializzato nel contenzioso in materia di intermediazione finanziaria), affiancato dall’Avv. Wilma Marina Bernardi dell’Avvocatura civica comunale, con la preziosa collaborazione degli Avv.ti Giovanni Cedrini, Matteo Urbinati e Federico Gambini (anch’essi dello Studio Legale Cedrini Urbinati Zamagni – Axiis) e la consulenza tecnica del Prof. Massimiliano Zanigni dell’Università di Bologna e della società di consulenza finanziaria indipendente Consultique SIM S.p.A.
LA VICENDA GIUDIZIARIA: FLASHBACK
La vicenda giudiziaria trae origine dalla stipulazione da parte del Comune di Rimini, tra l’anno 2001 e l’anno 2003, di tre contratti derivati, e precisamente di tre interest rate swap. Anche il Comune di Rimini aveva dunque ceduto alla tentazione di “facili guadagni” utilizzando questo strumento finanziario che la prova dei fatti ha dimostrato essere assai infido. L’amministrazione riminese aveva infatti inteso perseguire, tramite i contratti derivati, finalità di ammortamento del debito (ed in particolare del debito contratto in riferimento a mutui bancari stipulati dall’Ente).
Il Comune di Rimini aveva affidato l’opera di supporto tecnico ad un advisor, individuato mediante bando di gara. All’esito delle procedure di gara l’istituto UBM (Unicredit Banca Mobiliare, oggi Unicredit S.p.A.) è risultato affidatario dell’incarico di advisor e, per effetto dell’attività di consulenza svolta a favore del Comune, ha consigliato a quest’ultimo la stipulazione, a più riprese, di tre contratti derivati (a diversa scadenza: 2007, 2011 e 2015, alcuni dei quali peraltro rinegoziati in costanza di rapporto contrattuale), dapprima con il Credito Italiano e quindi con Unicredit Banca d’Impresa (oggi Unicredit Corporate Banking S.p.A.). Ma le cose non sono andate come auspicato, e i flussi differenziali sono andati decisamente in negativo per il Comune di Rimini.
Più precisamente, il saldo al secondo semestre 2009 ammonta ad Euro 651.632,43 a sfavore del Comune di Rimini, a cui vanno virtualmente aggiunti Euro 347.555,85 (importo riferito ai differenziali del secondo semestre 2009 e del primo semestre 2010, il cui pagamento era stato sospeso per intervenuto accordo tra le parti contrattuali). Agli importi di cui sopra devono altresì essere aggiunti i valori dei cosiddetti mark to market dei due contratti ancora in essere, ossia i relativi valori di mercato – rappresentanti una stima, in base ai parametri contrattuali, della posizione finanziaria dell’Ente in un preciso momento e non un debito attuale a carico del Comune – dei due contratti residui (uno è terminato il 31/12/2007), stimati, in base all’ultima rilevazione pervenuta al Comune dalla banca, in Euro 453.817,00 (a sfavore dell’Ente) per il contratto con scadenza 31/12/2011 ed in Euro 51.295,01 (sempre a sfavore dell’Ente) per il contratto con scadenza 31/12/2015. Il tutto per un totale virtuale, alla data di pubblicazione della sentenza, di Euro 1.504.300,29 (Euro 651.632,43 pari al saldo dei differenziali effettivamente scambiati + Euro 347.555,85 pari al valore dei differenziali sospesi + Euro 505.112,01 pari al valore virtuale dei mark to market dei due contratti ancora in essere in base all’ultima rilevazione fornita al Comune dalla banca).
LA SENTENZA
Il Tribunale è pervenuto ad una pronuncia di accoglimento delle domande del Comune di Rimini in base ad un duplice ordine di motivazioni:
1. ravvisando la nullità dei contratti derivati come effetto della presupposta nullità del contratto quadro di negoziazione (ossia di un contratto-base la cui sottoscrizione in forma scritta è imposta dalla Legge ancor prima della sottoscrizione dei singoli contratti derivati), stante l’omessa sottoscrizione del medesimo contratto da parte della banca;
2. ravvisando altresì la nullità dei contratti derivati quale effetto della avvenuta stipulazione del suddetto contratto quadro di negoziazione “fuori sede” (ossia fuori dai locali commerciali della banca, nel nostro caso presso la sede del Comune). In tali casi la Legge prevede che il contraente sia informato per iscritto della possibilità di recedere entro sette giorni dal contratto sottoscritto fuori sede e che l’omissione di tale avviso – ravvisabile nel caso di specie – sia causa di nullità del contratto. Sul punto la sentenza effettua una importante precisazione: le prescrizioni sulla negoziazione “fuori sede” trovano applicazione per gli investitori che non siano definibili “operatori qualificati” ai sensi della normativa di settore, con conseguente necessità di verificare se il Comune di Rimini possa o debba qualificarsi come tale. Ebbene, il Tribunale esclude espressamente che l’Ente possa definirsi “operatore qualificato” valorizzando le peculiarità di una dichiarazione scritta a suo tempo resa dal Direttore delle Risorse Finanziarie dell’Ente nella quale era fatto espresso e circostanziato riferimento all’attività di consulenza di Unicredit.