Costante crescita della pubblicità in Rete: 4% del fatturato totale.
di Saverio Mercadante
In 20 dei 31 Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dal 2007 al 2009 il tasso di lettura dei giornali tradizionali è sceso drammaticamente, dal -10 per cento della Germania al -30 per cento degli Stati Uniti (l’Italia è nel mezzo del guado con un calo del 18 per cento). E’ uno dei dati presentati nell’ultimo rapporto dell’Ocse su “Futuro delle notizie e Internet”. Anche qui c’entra in qualche modo la crisi, ma il vero problema per l’informazione cartacea è senza dubbio il mancato ricambio generazionale. I lettori giovani pescano le proprie news surfando nel mare magnum della Rete. In qualche modo le statistiche mondiali sul numero di quotidiani veduti e letti non scende solo grazie solo al contributo dei Paesi in via di sviluppo, spesso di giovane democrazia. Nel 2009, comunque la perdita di fatturato globale per il settore è stata pari al 10 per cento. Ancora una volta la crisi mostra i denti in un Paese piuttosto maturo tecnologicamente: negli Stati Uniti il fatturato dell’informazione scritta è passato dai circa 59 miliardi di dollari del 2004 ai circa 39 dello scorso anno. Forte è anche la perdita, proprio per la mancata fidelizzazione di fasce di potenziali clienti-lettori, delle entrate pubblicitarie. A livello mondiale occupano una fetta determinante per la vita dei giornali: il 57 per cento del totale delle entrate del settore. Eppure l’informazione in Rete ancora non paga. Il passaggio ai contenuti digitali per molte testate giornalistiche, avviato già negli anni Novanta, in termini di fatturato pubblicitario non ha ancora occupato il vuoto provocato dalla fuga dalla carta stampata. L’advertising via Internet è infatti in crescita, ma a livello globale vale ancora solo il 4 per cento del fatturato totale del settore. I passi verso il futuro informativo digitale comunque sono lenti ma ben distesi. Nei Paesi più avanzati il 5 per cento delle pagine cliccate appartiene a siti dedicati solo alle notizie on-line (il dato non comprende solo i siti delle varie testate ma anche gli aggregatori di notizie, come quelli dei motori di ricerca). L’Ocse rileva come in alcuni Paesi più della metà della popolazione legga giornali sul web (in Corea del Sud si arriva al 77 per cento) dedicandovi un tempo medio fra i 20 e 30 minuti al giorno, che in Italia quasi si raddoppia (51 minuti). L’Ocse mette a fuoco anche i modelli economici in grado di sostenere l’informazione digitalizzata. Con pochissime eccezioni (soprattutto ‘Financial Times’ e ‘Wall Street Journal’, i cui lettori sono disposti a pagare per news specializzate e tempestiva) finora le esperienze di siti di quotidiani a pagamento sono piuttosto fallimentari. Ma già ci sono le prime avvisaglie che il tempo del gratuito per l’informazione sta finendo. Il New York Times, anticipando una tendenza già in atto, ha fatto sapere di voler passare dal 2011 a una consultazione dietro abbonamento. Newspass è una piattaforma di Google che dovrebbe servire alla distribuzione di notizie a pagamento (e il 20% degli internauti italiani si sarebbe detto disposto a sottoscrivere un abbonamento). Non poteva mancare lo Squalo, che a 79 anni, vede ancora più lontano di tutti nell’informazione. Murdoch ha deciso di acquistare da Hearst (altro grande nome della carta stampata) la piattaforma digitale Skiff, realizzata per consultare giornali elettronici su una serie di dispositivi, dai pc portatili agli smartphone, senza dimenticare i ‘tablet’. Sull’iPad di Apple si contano più di 120 testate digitali: quasi tutte gratuite ma pronte a trasformarsi in un’edicola a pagamento non appena il mercato sarà pronto. E lo Squalo dopo aver costruito una fortuna comprando e ristrutturando giornali ‘cartacei’ (dal ‘Times’ al ‘Wall Street Journal’), per non parlare delle televisioni, sarà lì a divorarsi i nuovi soldi digitali.