E se proprio non puoi neanche regalarli, allora fai come Pepe Carvalho.
di Simona B. Lenic
Non sono ancora entrata nella mentalità dell’eBook. Il libro elettronico da leggere sull’eReader (che può essere il telefonino, il computer e i suoi derivati più snelli) non mi dà soddisfazione. Mi piace avere carta tra le mani, sottolineare con la matita, fare delle belle orecchie alle pagine se c’è un punto che vorrei ritrovare per sempre. Mi piace leggere senza essere obbligata a guardare uno schermo. Mi piace scegliere un romanzo girando anche per ore in libreria. E se sono in fila alle Poste, se sto aspettando qualcuno, o se sono in giro e vedo una panchina o un bel muretto dove sedermi a gambe incrociate, mi piace tirar fuori il mio vetusto libro e leggere, e magari schiacciarci nel mezzo un fiore, lo scontrino delle Poste, il tovagliolino del bar dove ho preso il caffé con un amico. Ma non siamo tutti uguali. Ed è questo il bello. Conosco persone che nell’eBook vedono il futuro della scrittura e dell’editoria (soprattutto per i piccoli editori è una possibilità in più per diffondere le proprie opere, contenendo i costi). Conosco anche persone che hanno tentato questo nuovo modo di leggere ma ne sono rimasti delusi. Soprattutto quelli che hanno comprato un eBook, poi lo hanno stampato e rilegato, spendendo – a livello monetario e ambientale – quasi quanto comprare un libro in libreria. Ma come fa un lettore cosiddetto forte a trovare spazio per tutti i libri se non convertendosi all’eBook, che avrà pure i suoi limiti ma è indubbiamente a ingombro zero? Innanzitutto ci sono le biblioteche, mai abbastanza frequentate. In secondo luogo, non è necessario tenere con sé tutti i libri che si leggono. Personalmente tra i miei scaffali ci sono solo quelli che per me hanno un valore e che – negli anni – avrò il piacere di riprendere in mano, fosse anche solo per una frase. Per tutti quei libri che invece non mi lasciano granché ho delle alternative di vita. Seguendo il presupposto che il libro che non piace a uno può diventare il preferito di un altro, valuto se tra i miei amici c’è qualcuno che può apprezzare quello che non ho apprezzato io. Libri da intellettuali per cui io sono troppo frivola, libri rosa per cui non sono abbastanza romantica, libri di fantascienza per cui non sono abbastanza sveglia diventano così regali per amici più intellettuali, romantici o svegli di me. Un regalo dichiaratamente “riciclato” ma sentito, che crea anche un’occasione di confronto, che non fa mail male. Ci sono poi libri che non abbiamo amato – o che non amiamo più – ma che se hanno un loro perché possono essere donati a biblioteche, scuole o associazioni. Non è da scartare nemmeno la soluzione del book crossing. Si lascia un libro su una panchina e qualcuno lo prenderà. Ci sono alcune attività commerciali che hanno uno spazio apposito dedicato a questa pratica: uno scaffale in cui appoggiare il libro, come a casa, solo che lo scaffale è di tutti. Se il libro che ho letto, invece, è proprio brutto – così brutto che mi dispiace che qualcuno lo legga per mano mia – lo tengo da parte e aspetto l’inverno per seguire l’esempio di Pepe Carvalho – investigatore protagonista di tante geniali storie di Vazquez Montàlban – che brucia i libri nel camino, pagina per pagina, con malcelata soddisfazione.