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Angeli degli investimenti E le start-up decollano

da Redazione

I “business angels” operano anche in Italia: di fatto sono dei co-creatori. Ma di fatto chi sono? Si tratta di manager o imprenditori. Danno vita ad operazioni fino a 500 mila euro.

di Saverio Mercadante

 

Apporta capitale a una o più start-up o a imprese con forte potenziale di crescita (diventandone così azionista), la sua esperienza in materia di gestione d’impresa. E la sua rete di contatti.
Sono dei co-creatori.
E’ un intervento che si sviluppa nel tempo e che prende forme molto diverse. Nella filiera del capitale di rischio i business angels vengono prima dei venture capital istituzionali e dei fondi di private equity.
Investono meno ma subito, sull’idea o sulla start up. Poi, dopo una media di tre-quattro anni, vendono.
Dieci anni fa, un gruppo di manager si fa promotore di una missione: portare in Italia la pratica dell’angel investing, trasformando imprenditori di successo in business angels e fonda Iban, associazione nazionale per l’angel investing.
Le indagini annuali sul mercato del capitale di rischio in Italia condotte da Iban, mettono a fuoco due forti tipologie degli investimenti: il 90% di investitori mette sul tappeto meno di 50.000 euro per operazione, il restante 10% investe in operazioni superiori al milione di euro.
All’interno di questa tipologia, sono rappresentati quasi tutti i settori merceologici, con una prevalenza dell’ICT e del bene manifatturiero.
Poco frequenti, ma in aumento le operazioni cross-borders, soprattutto verso i nuovi Paesi membri del-l’Unione europea.
Iban è membro fondatore e aderisce alla rete europea Eban (European business angel network) all’interno della quale rappresenta l’Italia nel board of director.
Attualmente Iban conta oltre 250 soci accreditati la maggioranza dei quali sono business angel individuali, altri sono istituzioni e società operative in questo settore. La rete attualmente comprende nove Ban territoriali, due Ban tematici (life science ed economia digitale) e tre club di angel investor.
Secondo un’indagine di Iban in Italia nel 2009 gli interventi in giovanissime imprese innovative sono stati 179, mentre nel 2008 erano stati 120. Quanto al valore, la crescita è stata molto più modesta: 31.460.000 di euro contro i 31.100.000 del 2008 (+1,2%). L’investimento medio è dunque sceso da 213mila euro a 176mila euro.
Di fatto i business angel hanno preferito agire in cordata e per operazioni più piccole.
Il business angel italiano ha in media 49-50 anni, è laureato e ha conseguito un master.
In genere è un manager, un imprenditore, un figlio di un imprenditore, un avvocato d’affari o un commercialista. Ha esperienza nella gestione di progetti di impresa e liquidità da investire in piccole imprese con elevato potenziale di sviluppo.
Gli investimenti vanno dai 50mila ai 500mila euro per singola operazione. Statisticamente, un terzo degli interventi finisce in perdita, un terzo in pareggio e un terzo con forti guadagni, tra le 5 e le 10 volte il valore iniziale. Dopo una media di tre-quattro anni il businell angel vende a un investitore più grande, a un’altra azienda oppure, raggiunto un certo target, all’ideatore del progetto.
Nel 2009 i progetti esaminati sono stati 1394. Tra i settori prevale l’Ict, seguito da biotech, tecnologie mediche e clean tech (energie pulite). Quest’ultimo ha registrato il trend di crescita più forte negli ultimi tre anni in particolare nella gestione delle acque, la raccolta dei rifiuti e l’ottimizzazione degli impianti geotermici.
Anche l’Europa punta sugli angeli del business.
La Commissione europea per la PMI ha messo in campo il Programma Quadro di Competitività e Innovazione (2007-2013).
Mette a disposizione degli operatori un totale di un miliardo di euro attraverso i suoi strumenti, che dovrebbe generare (per il cosiddetto “effetto leva”) approssimativamente 30 miliardi di euro supplementari per le Piccole e Medie Imprese.
Il programma è flessibile nella sua politica di investimento in capitale-rischio, autorizzando specialmente il sostegno dei fondi di coinvestimento legati ai business angels.
In totale ci si attende che 350.000 – 400.000 PMI beneficino degli strumenti finanziari del Programma Quadro.
Negli Stati Uniti d’America sono stati identificati dieci vantaggi nell’investimento di un business angel:
1) Preferiscono gli investimenti più ridotti rispetto a quelli dei venture capitalists e quindi sono più adatti alle Piccole e Medie Imprese;
2) Investono generalmente nelle start-up e nelle imprese in prima fase di sviluppo, senza chiedere redditi certi (anche se un flusso di denaro contante è sempre molto apprezzato);
3) Investono praticamente in tutti i settori d’attività in forte crescita;
4) Sono più flessibili nelle prese di decisione, rispetto ai fondi di capitale di rischio;
5) La raccolta dei fondi non implica costi importanti;
6) La maggior parte degli angels sono degli investitori “a valore aggiunto”: apportano la loro esperienza parallelamente al finanziamento;
7) Sono geograficamente più distribuiti, ciò permette dei contatti più agevoli rispetto ai venture capitalists che sono spesso concentrati in regioni come Silicon Valley, Boston o NewYork;
8) Hanno un effetto leva su altre fonti di finanziamento, rendendo l’impresa più attraente perché apportano il loro prestigio personale;
9) Offrono spesso una garanzia per un prestito, nel caso non sia versata direttamente della liquidità;
10) Non sono contrari a finanziare le tecnologie le più diverse.
Il capitale di rischio informale porta ad una presa di partecipazione nell’impresa investita. L’imprenditore deve dunque essere cosciente che deve aprire il capitale della sua impresa ad uno o più investitori terzi.

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