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Profumo di talleri (tanti) per dire addio ad Unicredit

da Redazione

Alla fine ha gettato la spugna, incassando i suoi quattro soldi inseguito dalle critiche.

di Paolo Brera

 

Dunque Profumo ha dovuto gettare la spugna. Intasca i suoi quattro soldi (ehm…) e lascia la guida di Unicredit, inseguito dalle critiche per la partecipazione libica e per la sua gestione. Su tale esito convergono quattro problemi, e proverò a elencarli. Primo e secondo problema, Mu’ammar Gheddafi. Il leader libico è stato da tempo sdoganato a livello internazionale: la Libia non è più considerata uno “Stato canaglia”, se non da alcuni estremisti, e chi ha il gusto dello spettacolo può tranquillamente organizzare i suoi dement-show a Roma, sicuro di trovare in Gheddafi un augusto di prim’ordine. Questi show possono piacere o non piacere ma resta fermo che gli sdoganati hanno tutto il diritto di comprare quote in Unicredit, come hanno fatto, senza scandali. A riprova Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Ocse, riferendosi appunto a Unicredit ha detto a SkyTg24 che «i fondi sovrani sono i benvenuti se rispettano regole di trasparenza», per poi aggiungere che «occorre fare di più per gli investimenti di lungo periodo e meno speculazione a breve, dato che per principio i fondi sovrani dovrebbero fare investimenti a lungo termine a parità di condizioni sono i benvenuti». Traduzione: gli investitori devono anche pesare sulle scelte strategiche, altrimenti chi glielo fa fare di investire a lungo termine? Secondo problema: ma in Unicredit vige per qualsiasi azionista singolo il limite del 5% all’esercizio del diritto di voto: le azioni eccedenti non votano. Ora, risulta che due enti libici, la Banca centrale (in arabo مصرف ليبيا المركزي ) e il fondo sovrano Libyan Investment Authority, detengano insieme il 7,5% del capitale. Possono essere considerati uno stesso soggetto? La Consob pochi giorni fa ha detto di sì. Ne segue, a rigor di logica, che in assemblea votano solo per il 5%. E anche se al novero degli azionisti libici si dovesse aggiungere Gheddafi con il suo patrimonio personale, il di lui figlio con la sua squadra di calcio, e chissà quale altro ente di Tripoli, Bengasi o Tobruk che obbedisca al raìs, il voto dovrà restare rivettato a quel livello. E morta lì, però. Invece sul caso libico è montato uno scontro al calor bianco, divenuto il terzo problema. La Lega Nord ha sparato a zero contro questo flagrante rinnegamento dello “scontro di civiltà” fra Cristianesimo e Islam. Il fatto è che di Unicredit sono azioniste anche due fondazioni bancarie sulle quali la Lega ha messo gli occhi: la Crt e la Verona. La prima è terreno di scontro, e il suo settantaquattrenne presidente (che tale è fin dalla fondazione della Fondazione) Andrea Comba sta bordesando per restare al suo posto altri centoventi anni. Profumo? «Noi siamo stati storicamente i più fedeli alla linea di Profumo, anche a costo di gravi sacrifici… Occorrerà verificare in assemblea… se il suo operare sia stato o meno conforme ai nostri interessi». Traduzione: hanno già verificato tutto il verificabile, deciso il decidibile, ma ancora non sono certi di vincere e vogliono tenersi aperto uno spiraglio. Cariverona dopo lungo assedio è caduta nelle mani della Lega Nord, cui oggi si rifà praticamente tutto il vertice. Bossi ha dichiarato apertis verbis di mirare al controllo di qualche banca, e Unicredit va bene come un’altra: anzi, come venti o trent’altre, viste le dimensioni. Se qualcuno si ricorda ancora che quando le Casse di risparmio furono scisse in un’azienda bancaria e in una Fondazione il motivo addotto fu quello di evitare la commistione fra interessi politici e aziendali, e se questo qualcuno di conseguenza non si spiega ciò che sta succedendo oggi, costui deve essersi perso gli ultimi 2513 rivoltamenti di frittata operati da politici italiani, per non dire tutti quelli avvenuti invece più di due giorni fa. Verba volant, eaque nullus meminit. Che in arabo si dice معلومات تاريخية (guai a voi se andate a vedere il bluff). Ultimo problema, la gestione Profumo in sé e per sé. Per anni Profumo è sembrato il manager più macho del sistema bancario italiano. Due anni fa, al momento della crisi finanziaria mondiale, si scopre che Unicredit è la banca italiana messa peggio, insieme al Montepaschi. In Borsa cominciano a fioccare le vendite: molti pensano che la banca possa crollare. Profumo, però, tiene botta – almeno in apparenza. «Non abbiamo bisogno di un aumento di capitale, io non mi dimetto», dice. Ma sta sottovalutando quello che succede. Il giorno dopo Unicredit è travolto dalle vendite in Borsa, il consiglio di amministrazione prepara e delibera in pochi giorni un maxi aumento di capitale. A garanzia dell’operazione interviene Mediobanca, allora guidata da Cesare Geronzi. È lui, sembra, a far entrare i libici. Ciò che oggi viene rimproverato a Profumo. Giocoforza è constatare che il carisma dell’odoroso manager è andato in pezzi. I risultati di Unicredit non sono più fulgidi come un tempo. Una stagione è finita. Per questo il presidente Dieter Rampl, espressione del ramo tedesco della superbanca, ha chiesto la testa di Profumo, e l’ha ottenuta.

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