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Indebitata e meno produttiva: la nuova Italia

da Redazione

Diversi dati recenti sull’economia italiana, se letti tutti insieme, offrono un’immagine più chiara. La produttività barcolla, il lavoro nero emerge, la crisi pesa sulle famiglie e le imprese si indebitano.

Di Paolo Brera

 

Quando un Paese, nel bene o nel male, attraversa un periodo di profonda trasformazione economica, lo si vede confrontando nel tempo il valore di un determinato insieme di indicatori. È come scattare due fotografie della stessa classe di liceo a qualche anno di distanza: alcuni studenti che prima c’erano non sono più lì, altri si sono aggiunti, i più alti e i più bassi della prima foto non sono necessariamente rimasti tali nella seconda, e tutti hanno cambiato abbigliamento e pettinatura. Negli ultimi tempi, sull’economia italiana sono stati resi noti diversi insiemi di cifre, che consentono di capire in quale direzione stia andando. Li riporto di séguito, senza troppi commenti (a buon intenditor…). Cominciamo dal più recente, i dati sulla produttività divulgati martedì dall’Istat. Negli ultimi trent’anni la produttività è cresciuta al ritmo annuo dell’1,2%, ma nel solo ultimo decennio c’è stato un calo annuo dello 0,5%. Nel periodo 2007-2009, pur in presenza di una sensibile caduta del monte ore lavorato, la produttività ha avuto un vero e proprio crollo: -2,7% all’anno. Su tale evoluzione hanno influito in un senso l’aumento dell’intensità di capitale, e in senso opposto il deterioramento della prestazione lavorativa. In realtà questo secondo aspetto è sicuramente sopravvalutato, visto che nel mercato del lavoro degli anni Zero vi è stata una massiccia emersione del lavoro nero. Lavoratori che anche prima erano occupati, però non apparivano, sono venuti alla luce e sono entrati nel calcolo della produttività. Già, perché un altro insieme di cifre Istat ci dice quanto incide il sommerso sulla produzione. Nel 2008 il valore aggiunto prodotto dal sommerso è stato tra il 16,3% e il 17,5% del pil. Tra il 2000 e il 2008 il dato aveva registrato una flessione, pur con andamenti alterni: la quota sul pil aveva raggiunto il picco più alto (19,7%) nel 2001, per poi decrescere fino al 2007: dal 2003 al 2008 il valore aggiunto prodotto nel sommerso ha comunque ripreso a crescere in termini assoluti. Nel 2008, cominciata la recessione, il pil è invece diminuito, cosa che ha fatto salire anche il peso relativo del sommerso. Il motivo che genera un così alto sommerso è l’imposizione fiscale, concentrata su alcuni soggetti e molto sperequata. La fotografia scattata dall’Istat sui conti pubblici 2009 mette in evidenza come la pressione fiscale sia arrivata a un livello mai raggiunto dal 1997. Con un carico fiscale del 43,2%, rispetto al 42,9 del 2008, l’Italia si colloca ex aequo con la Francia al quinto posto nella classifica della pressione tributaria e contributiva in Europa. Dieci anni fa, era più o meno al decimo. La crisi economica ha inciso in profondità sullo stile di vita. Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2009 è sceso del 2,6%, dopo una diminuzione dello 0,9% l’anno prima. Anche la spesa per consumi finali delle famiglie ha presentato una variazione negativa. Nonostante «il forte contenimento» delle spese (così l’Istat), le famiglie non sono state in grado di mantenere invariata la loro capacità di risparmio: la propensione al risparmio è scesa all’11,1%, il valore più basso dall’inizio degli anni Novanta. Un altro risvolto di questo diminuito benessere è l’aumento del debito delle famiglie. Negli ultimi anni, infatti, gli italiani hanno imparato a comprare tutto a rate. L’ultimo bollettino di Bankitalia informa che i debiti per i finanziamenti personali sono saliti ad oltre 57 miliardi di euro (dai 54 circa del gennaio 2009), mentre le richieste di mutuo per l’acquisto di casa superano i 282 miliardi di euro (contro 264 alll’inizio del 2009). Anche le imprese italiane stanno facendo i conti con un indebitamento che nel decennio 1999-2009 è raddoppiato (+93,6%): un incremento nettamente superiore a quello dei prezzi, visto che nello stesso periodo l’inflazione è stata del 23%. L’analisi dell’ufficio studi della Cgia di Mestre mostra che l’esposizione totale verso le banche è arrivata a 933 miliardi di euro. Vale a dire che, in media, ogni impresa italiana ha un debito verso le banche pari a 176.596 euro. Se dal 1999 al 2008 c’è stato un progressivo aumento dell’indebitamento, con l’avvento della crisi economica la tendenza si è invertita. Tra il 2008 e il 2009 l’esposizione delle imprese è diminuita del 2%, per effetto della stretta creditizia e della riduzione delle richieste di prestiti da parte delle aziende. Il divario economico tra Nord e Sud continua ad essere nettissimo. Lo si ricava da una serie di dati che l’Istat ha depositato in Parlamento nell’ambito degli approfondimenti in corso sul federalismo fiscale. La fotografia dell’Italia “duale”, come la definisce il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, mostra che al Sud si produce per 17.900 euro pro-capite contro i 31.000 del Nord. In fondo alla classifica c’è la Campania dove il pil pro-capite è pari a 16.900 euro, penultima la Calabria con 17.000 euro. In testa, invece, Bolzano con 34.400 euro, seguita dalla Lombardia con 33.600. I dati sono per il 2008, prima dunque della grande crisi.

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