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Serbia, dalla guerra a nuova Cina d’Europa

da Redazione

Oltre 200 imprese italiane per un giro d’affari di 2 miliardi di euro.

Di Saverio Mercadante

 

Se in Israele primo paese al mondo per investimenti in ricerca e innovazione, la guerra è strisciante e quotidiana, in Serbia, la guerra è stata fratricida, è stata genocidio. Eppure anche il paese balcanico travolto dall’orrore dei massacri, ancora dieci anni fa era sotto le bombe Nato, si sta rilanciando, nonostante la crisi, innovando: il piano di incentivi fiscali e finanziari è valso il primo posto nella classifica della Banca mondiale in materia di riforme economiche per attrarre investimenti stranieri. E c’è chi già parla di Cina d’Europa. Nell’annus horribilis 2009, che ha visto il pil serbo contrarsi del 3,5% e la disoccupazione salire al 16,9% dal 14,4% del 2008, l’esecutivo filoeuropeista ha deciso che irrinunciabili fossero solo gli investimenti greenfield (consistono nella creazione ex novo di attività produttive, ndr). Si è preferito tagliare 15.000 dipendenti pubblici, come richiesto dal FMI in cambio del maxi credito ‘salvacrisi’, da quasi tre miliardi di euro, accordato a Belgrado. Una strategia che ha consentito, nonostante la crisi, di mantenere l’Iva invariata al 18%, così come la tassa sul reddito di impresa fissa al 10%, tra le più basse del Continente. Quindi l’attrattività della Serbia non arriva solo dai salari bassi, mediamente intorno ai 350 euro, e dalla bassa o pre sindacalizzazione. Agevolazioni a fiumi: terreni forniti gratis a chi stabilisce nuovi impianti produttivi, contributi del governo a fondo perduto per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato. Tra i duemila e i diecimila mila euro di incentivi, a seconda della portata dell’investimento, minimo un milione di euro, e del numero di impiegati, minimo tra 10 e 50. Fino ad arrivare all’esenzione dalle tasse per dieci anni se si investe in capitale fisso almeno 7,5 milioni di euro, e si impiegano oltre 100 addetti a tempo indeterminato. Anche a livello legislativo la Serbia si è mossa con prontezza ed efficacia. In primis, l’Accordo di libero scambio firmato nel 2009 tra la Repubblica di Serbia e gli stati dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), a cui si aggiunge l’accordo di stabilizzazione e associazione firmato con l’Unione europea che assicura l’esportazione dei prodotti verso i Paesi UE senza dazi. Altrettanto rilevanti sono stati gli accordi di libero scambio con la Russia, che ha garantito l’accesso ad un mercato di 150 milioni di persone, la Bielorussia e la Turchia, sempre del 2009. Parallelamente, si è evoluto anche l’intero sistema legislativo serbo: negli ultimi due anni sono state varate più di 300 leggi in ambito economico, tra cui la nuova legge sulle imposte, sulle tassazioni e sull’IVA. L’attuale normativa rende particolarmente favorevole la produzione industriale nel Paese che vanta, come dicevamo, la più bassa aliquota fiscale sugli utili d’impresa (-10% rispetto all’Europa) e la più bassa imposta sui redditi personali (12%). Lo stesso vale per l’IVA pari al 18%. Infine, gli investimenti in beni immobili sono deducibili fino al 20% dell’ammontare imponibile, e fino al 40% per le Pmi. Tutto questo negli ultimi anni ha accelerato gli investimenti italiani in Serbia ed ha portato l’Italia ad essere il terzo Paese partner nell’interscambio commerciale con l’area di Belgrado, dopo Russia e Germania. E forse proprio quella porta aperta su mercato di 200 milioni di russi ha anche attratto le imprese di tutto il mondo a venire a Belgrado. L’accordo di libero scambio tra la Federazione russa e la Serbia, sopra accennato, assicura un trattamento favorevole per la merce oggetto dell’interscambio. Per non pagare oneri doganali ovviamente sono previste delle condizioni: il paese d’origine della merce deve essere la Serbia, è obbligatorio l’acquisto e la fornitura diretti e infine la fornitura deve essere accompagnata dal certificato di origine. Nel paese ci sono già circa 200 imprenditori italiani: un giro di affari di 2 miliardi di euro l’anno, destinato a crescere in maniera esponenziale una volta che l’investimento Fiat entrerà nel pieno regime produttivo. La Siepa (agenzia serba per gli investimenti) ha previsto addirittura che Fiat sarà un volano che porterà trentamila mila posti di lavoro tra diretti e indiretti nel settore auto, occupati in aziende di componentistica che non lavoreranno solo per Fiat. L’obiettivo di Marchionne é di promuovere l’insediamento sul posto di un adeguato numero di fornitori di componentistica. Fiat punta a produrre in Serbia il 5% della componentistica di tutto il gruppo, per un valore di oltre un miliardo e mezzo di euro. A qualche decina di chilometri da qui anche un’altra azienda storica della Romagna ha deciso di de localizzare nei Balcani. La Omsa, mitico marchio di calze da donna, di proprietà della Golden Lady Company, aprirà un nuovo stabilimento in Serbia (il terzo), spostando la produzione di Faenza e mettendo in cassa integrazione le 350 operaie che vi lavoravano.

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