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Nightbook, Ludovico Einaudi. Recensione del concerto capolavoro a Verucchio

da Redazione

“Nightbook” di Ludovico Einaudi – il concerto che sabato sera ha chiuso, mettendo un apostrofo di platino, la 26esimea edizione del Verucchio Festival – è un capolavoro senza precedenti: le sonorità dei Sigur Ros e alcune percussioni che ricordano “Creuza de ma” di Fabrizio De André trovano l’equilibrio (e nuova vita) sugli 88 tasti suo pianoforte, disegnando – ma con la musica – la cartina di nuovo viaggio nel mondo delle sette note. “Nightbook” – per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore – è la musica che mancava al libro “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll. “ Recensione di Alessandro Carli.

Di Alessandro Carli

“Nightbook” di Ludovico Einaudi – il concerto che sabato sera ha chiuso, mettendo un apostrofo di platino, la 26esimea edizione del Verucchio Festival – è un capolavoro senza precedenti: le sonorità dei Sigur Ros e alcune percussioni che ricordano “Creuza de ma” di Fabrizio De André trovano l’equilibrio (e nuova vita) sugli 88 tasti suo pianoforte, disegnando – ma con la musica – la cartina di nuovo viaggio nel mondo delle sette note.
“Nightbook” – per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore – è la musica che mancava al libro “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll. “In principio”, giocata su piccoli moduli melodici pianistici a cui viene ad aggiungersi un effetto elettronico rarefatto molto delicato, è la musica che vibra “Nella tana del Bianconglio”, quando Alice insegue il buffo roditore sempre in ritardo. In “Nightbook” i loop melodico-percussivi al pianoforte accompagnati da robusti e gradevoli fill di archi e batteria accompagnano l’entrata “Nella valle di lacrime” mentre “Lady labirinth” (mi) ricorda il “Tè dei pazzi”, quello della Lepre Marzolina e del cappellaio matto” lì dove la “Lady” del titolo è chiaramente Alice. In “Indaco” ci sono i consigli del Brucaliffo: le dita scivolano sul pianoforte, lievi e delicate, che poi sulla metà sale quando Alice si arrabbia per poi tornare alla calma, ma solo quando cambia scena e traccia.
“Eros” invece pompa come la partita a croquet: le note galleggiano, fanno le capriole in un crescendo che “diviene”, ma sensuale (non come la Regina di cuori però). “The Crane dance” è come una sottile ninna nanna che accompagna il violoncello verso il mondo di Morfeo: entra in pianoforte ma con accenni Sigur Ros, come nella quadriglia delle aragoste, poi Einaudi” gioca a salire un po’ per poi tornare pacato.
In “Bye bye mon amour” il piano(forte) ha un’anima quasi metafisica: il refrain dei tasti è quasi nascosto, e gli effetti rarefatti portano lontano: è Alice che incontra per la prima volta il Gatto del Cheshire (“Vorresti dirmi che strada devo prendere per favore?” dice Alice, e lo Stregatto risponde “Dipende da dove vuoi andare”), però in musica.
Attinge al genere ambient (quello di Brian Eno, però rivisitato) “The planets”, in cui il loop sospeso diventa onirico, anche perché il “viaggio” ad un certo punto torna ad essere realtà: Alice si sveglia come mi sveglio io dopo il bis che Einaudi ha voluto dedicare a un volatile che nella prima parte del concerto ha “accompagnato” – con il suo verso – la lettura delle pagine del libro di not(t)e.
Un capolavoro che ha anche il viso bello e giovane di Federico Mecozzi, giovane musicista di Verucchio (non ancora maggiorenne) che Einaudi ha voluto con sé nel tour.
Una pagina di Grande Musica, che forse non parla esattamente di Alice. Ma che vibra dentro, senza pausa. E che porta la firma di un uomo che sa far sognare il pubblico.
 

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