La crisi (e la crisi delle relazioni con l’Italia) ha avuto un gran brutto effetto collaterale: ha innescato una strisciante “guerra dei poveri” tra i lavoratori sammarinesi e i frontalieri italiani. C’è chi vorrebbe vedere mandati a casa gli italiani, sicuramente un po’ per ripicca nei confronti di Tremonti, del Governo di Roma e di quant’altro, un po’ perché quando c’è da stringere la cinghia si pensa che sia opportuno fare quadrato. San Marino Fixing ha affrontato questo argomento di vitale importanza intervistando imprenditori (Simona Michelotti e Franco Capicchioni) e sindacalisti (Enzo Merlini e Giorgio Felici).
Di Saverio Mercadante
“Dai momenti difficili si esce o rafforzandosi o impoverendosi. Dire via gli italiani è un impoverimento culturale. Mi sembra una questione senza senso. I dipendenti sono tutti uguali, non vedo differenze. E non si può sostituire una persona con un’altra senza conseguenze. Esistono delle professionalità dalle quali non si può prescindere. E certamente non si può distinguere per nazionalità o cittadinanza”. Simona Michelotti, Presidente della Camera di Commercio, commenta così una delle questioni che si sono aperte con lo scatenarsi della crisi economica e con le permanenti difficili relazioni con l’Italia che rischiano di bloccare l’economia del Paese e quindi causare una grande perdita di posti di lavoro. E in questi ultimi giorni già si parla di ricadute sui frontalieri, qualcuno grida “via gli italiani lasciate il posto di lavoro ai sammarinesi”: nel mirino, in particolare, le assunzioni a tempo indeterminato per gli italiani. “Bisogna reagire – continua con grande energia Simona Michelotti – e dobbiamo lottare per superare questo momento, guardare avanti. Ci sono mezzi e strumenti. Siamo imprenditori non per caso. Questa è una situazione difficile come ce ne sono altre mille quando ci si confronta sui mercati. Mi rifiuto di ragionare in termini così negativi. Non può morire l’economia sammarinese. E se c’è una sola possibilità di sopravvivere, va sfruttata sino in fondo. Abbiamo superato tante difficoltà in questi anni non ultime quelle create dal nostro sistema nel mercato del lavoro. Non bisogna assolutamente concentrarci sul peggio”. “Avevo un socio qualche anno fa – ricorda il Presidente – che mi diceva: pensa quanto costa quella macchina, quando sta ferma. E io risposi che non c’avevo mai pensato. Io pensavo solo a farla lavorare sempre, a non farla mai star ferma. Lo dico per far capire che non bisogna aver nessuna paura, da questa situazione si può venirne fuori. Io trovo che sia normale che un Paese si rimbocchi le maniche per andare avanti. Bisogna andare oltre questo pessimismo diffuso, superare questo atteggiamento distruttivo. E ci sono tanti imprenditori che si battono, e vogliono rimanere a San Marino. Hanno grinta ed energia. Ecco, questo è un imprenditore”. “Questa situazione di grande difficoltà deve esse trasformata in un momento di possibile grande creatività. Basta piangere, bisogna reagire con tutte le nostre forze. Dobbiamo imparare a camminare con le nostre gambe dimenticandoci di qualsiasi tipo di assistenzialismo e andare avanti senza paura con l’obiettivo di crescere, di rendere ancora più forti le nostre aziende. L’impresa con i fatti, reagendo tutti insieme, dimostrando nel concreto che sappiamo fare, sappiamo costruire, può diventare la guida morale del Paese. E’ un ruolo alto che dobbiamo assumere per il futuro di San Marino”. Ma torniamo al tema delle stabilizzazioni con Enzo Merlini, segretario CSDL dell’industria. “Questa storia di bloccare le stabilizzazioni non ha nessun senso. E’ un’operazione puramente di immagine, che tende a creare allarmismo e divisione tra i lavoratori senza nessuna conseguenza pratica. Se noi blocchiamo le stabilizzazioni dopo sette anni risolviamo il problema della disoccupazione, quando la maggior parte dei frontalieri ha un’anzianità di servizio al di sotto di questa soglia? È soltanto demagogia”. “Non c’è dubbio – continua Merlini – che l’occupazione va data in prima battuta ai sammarinesi residenti. Ma questo che c’entra col fatto che mandiamo a casa quelli che sono qui da sette anni per dare lavoro ai nostri? La soluzione prima di tutto passa per un nuovo progetto economico, che consenta di creare nuovi posti di lavoro. Non si può giocare al ribasso. Altrimenti è solo una guerra tra poveri. Non si può pensare che, siccome Tremonti ha messo alle strette San Marino, allora noi scarichiamo i nostri problemi sulla parte più debole degli occupati. Al 31 dicembre del 2009 il calo dei frontalieri è stato di 300 unità. Quindi presumo che il dato negativo sia aumentato. Pochissimi, d’altronde, in questi mesi sono stati i nuovi permessi”. Bisogna ricordare che tre anni fa fu fatto un accordo ponte sul tema complessivo del frontalierato che scade appunto quest’anno, in assenza di accordi con l’Italia. “Il percorso di stabilizzazione si ferma naturalmente. E’ anche per questo che è ancor più paradossale questo annuncio del governo. Senza accordi, il percorso di stabilizzazione si ferma da solo”. “Oltretutto – sottolinea Merlini – le imprese italiane che volessero assumere i frontalieri italiani non potrebbero utilizzare gli ammortizzatori sociali sammarinesi. Se un lavoratore italiano va in mobilità le imprese hanno degli incentivi. L’ammortizzatore sociale sammarinese, che sia disoccupazione o mobilità, non può essere utilizzato dalle imprese italiane. Quindi il frontaliere italiano che perde oggi il posto non lo trova più a San Marino perché non c’è più lavoro per tutti, ma non lo trova nemmeno in Italia: alle imprese italiane non conviene assumere un lavoratore per il quale non hanno nessun beneficio. Assumono un lavoratore in mobilità in Italia perché porta incentivi all’azienda. E per questo che abbiamo chiesto di aprire trattative con l’Italia per tutelare i lavoratori che perdono il lavoro in un altro Stato”. Anche l’ing. Franco Capicchioni, a.d. di Ali Parquets, interviene sulla questione frontalierato. “C’è stato un ridimensionamento in azienda per il crollo del mercato dovuto alla crisi dell’edilizia e alla ben nota situazione del Paese. Nel nostro caso, siamo stati assolutamente neutri, le persone licenziate sono sia residenti che non residenti. Non c’è stata un’operazione sulle persone ma semplicemente sulle funzioni. Professionalità, meriti, tempi di assunzioni. Siamo stati più che attenti. C’entra poco l’essere sammarinesi. Le aziende vivono sulle professionalità delle persone”. “Il problema è grosso – rimarca Franco Capicchioni – perché lo Stato avrà di fronte la questione del ridimensionamento della macchina pubblica: le aziende sono abbastanza in crisi, così come il settore bancario. Si prevede quindi una riduzione importante dei posti di lavoro. E ovviamente per la politica è una questione decisiva e non di facile soluzione”. “In questo momento è difficile giudicare la soluzione prospettata dal Segretario di Stato Valentini (il rallentamento della stabilizzazione, ndr). Di certo l’Italia sta facendo un’operazione contro le convenzioni in essere tra i due Paesi. A questo punto forse ci si dovrebbe muovere sul piano internazionale per far valere i nostri diritti. Non dimenticando il fatto che San Marino ha un sistema per l’impiego nel settore privato ingessato, complicato, non libero. Un imprenditore in Italia può assumere dall’oggi al domani, a San Marino non è possibile. E questo la dice lunga su quanto il nostro Stato, che per certi versi è medievale, debba modernizzarsi”. Infine ancora un sindacalista, Giorgio Felici, segretario CDLS industria, su questa situazione di grande difficoltà per l’economia sammarinese. “Il Segretario Valentini ha fatto sulla stabilizzazione una dichiarazione del tutto strumentale. Si fa finta di avere il pugno di ferro per uso interno. Ma non v’è dubbio che la situazione sia grave: crisi economica e sistema San Marino stanno sgretolando l’economia, fino a un anno fa floridissima. Dobbiamo assolutamente dire alla politica quello che Tremonti ha detto a tutto il mondo al Meeting lo scorso anno sul tema delle banche e delle finanziarie e della loro proprietà, sulla criminalità organizzata che ci sarebbe dentro a San Marino. Abbiamo fatto pulizia in questo senso? A me sembra di no. E’ tutto questo ha messo in crisi il nostro sistema. C’ è un clima bruttissimo nelle aziende: la gente dice che i primi che debbono lasciare il posto di lavoro sono i lavoratori frontalieri. E questo non fa gioco alle aziende del nostro Paese. Se noi togliamo 150 frontalieri a Colombini, per esempio, come fa a mandare avanti la produzione? Dove li trova 150 operai sammarinesi con la stessa identica professionalità?”. Bella domanda, vedremo nelle prossime settimane quale sarà la risposta.