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Magna plaza, magno anche lo spettacolo I Wunderbaum non deludono

da Redazione

Annunciato come uno degli eventi clou della 40esima edizione del Festival di Santarcangelo, “Magna plaza”, firmato dal collettivo fiammingo-olandese Wunderbaum, non ha deluso le aspettative. Uno spettacolo fresco come l’età degli attori (tutti 30enni), ben curato, che solo nella chiusa perde lievemente di vigore.

Di Alessandro Carli

 

Annunciato come uno degli eventi clou della 40esima edizione del Festival di Santarcangelo, “Magna plaza” – spettacolo messo in scena al Centro Commerciale Atlante della Repubblica di San Marino e firmato dal collettivo fiammingo-olandese Wunderbaum – non ha deluso le aspettative. Spalmato sui 5 piani dell’edificio, 5 attori – partendo dalla trama del film “Dolls” del regista orientale Kitano – danno vita a un pastiche di tre storie d’amore, intrecciate e a singhiozzo, che solamente alla fine ritrovano l’unità iniziale.

Tradotto in italiano (gli spettatori vengono cuffiati prima dell’ouverture), “Magna plaza” si apre a ventaglio sulle sfumature del cuore: c’è la storia d’amore solo immaginata (un ragazzo che aspetta – vestito di rosso – un amore che non arriverà mai; il ragazzo scrive su un pannello ‘ready for love?’ e chiede alle persone che casualmente affollano il centro commerciale ‘che ore sono?’: la cena è già pronta, ma non vorrebbe andare da solo). C’è la passione che unisce Matsumoto e Sawako: lui però è promesso sposo alla figlia di un boss e lei, teatralmente, impazzisce. Solo nel momento della follia lui decide di starle vicino per sempre. E c’è un’ossessione al femminile molto delicata che lega la groupie Nukui e la popstar Haruna. Nukui le segue, Haruna non ne vuol sapere. La cantante però ha un incidente: rimane sfigurata e decide di abbondare la scena. Nukui decide di starle vicina e – come Edipo si rifiuta di guardare la realtà – si cava gli occhi: la novella Santa Lucia si fa martire “per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore”, per tutti quelli che hanno voluto fermare l’attimo per renderlo infinito.

Dentro, in mezzo ai tre fili che si snodano per poco più di un’ora, molti spunti: il tempo di un’attesa infinita che non si compie (“Aspettando Godot” di Samuel Beckett), l’amore incondizionato tra due ragazze e quello passionale di due giovani che – solo nella pazzia – riescono a riconoscere il sentimento. Uno spettacolo fresco come l’età degli attori (tutti 30enni), ben curato, che solo nella chiusa perde lievemente di vigore: allineati verticalmente (molto interessante la copertura degli spazi), le tre storie si mettono a nudo in tutta la loro violenta contemporaneità, quasi fosse uno specchio metateatrale in cui gli spettatori possono specchiarsi.


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