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Idee made in Italy, venture capital USA

da Redazione

Funambol, software creato a Pavia, scaricato da tre milioni di persone. L’azienda ha il suo quartier generale in Silicon Valley. I capitali sono americani, ma l’innovazione è tutta italiana. Capitali americani e cervelli italiani.

Di Saverio Mercadante

 

“Il problema è che in Italia mancano ancora alcuni tasselli necessari alla creazione di una Silicon Valley tricolore. In primis, i capitali di ventura sono pochi. Io ho raccolto 25 milioni di dollari negli Stati Uniti. In Italia è impensabile. Perché manca la cultura dell’exit: un venture capital investe per veder rientrare l’investimento entro cinque anni, con gli interessi. Siccome le aziende in Italia non si vendono e non c’è un mercato azionario pubblico come il Nasdaq, ne deriva che non ci siano exit e il modello non possa funzionare. Il problema è culturale: gli italiani non vendono le proprie aziende. Non si vende, nel caso migliore si è comprati perché da soli non si riusciva ad aver successo. In Silicon Valley nessuno vuol fare la stessa cosa per più di cinque anni, perché si annoia. Invece si crea innovazione, la si vende a una grande azienda (che da sola fa fatica a innovare), si diventa ricchi e si riparte con un’altra start up. Chi vende a un buon prezzo è un grande. Non uno che non è riuscito a sfondare. I venture capital non prosperano in un mercato dove non circola liquidità “. Dixit, su “Innovazione”, Fabrizio Capobianco, fondatore e Ceo di Funambol. Ha creato una start up che produce software per telefoni cellulari, scaricato da più di tre milioni di persone in ogni angolo del pianeta. Software pensato e prodotto in Italia, nel centro di ricerca e sviluppo Funambol a Pavia, dai migliori ingegneri al mondo. Ma c’è una piccola sorpresa: Funambol ha il suo quartier generale in Silicon Valley. I capitali sono americani, ma l’innovazione è tutta italiana. Capitali americani e cervelli italiani. Capobianco pone poi un altro elemento decisivo che testimonia la mancanza di cultura d’impresa d’avanguardia. Il fallimento è inaccettabile in Italia. Chi fallisce viene marchiato per sempre. Afferma il manager: “Chi non rischia non può fallire: perché rischiare, allora? Non è un problema banale, è un macigno”. E’ veramente un altro mondo: un investitore in Silicon Valley investe più volentieri su un imprenditore che è fallito due volte, rispetto a uno che non ci ha mai provato. Il fallimento fa parte del gioco del rischio. I venture capital investono in dieci aziende, confidando che tre abbiano una exit ragionevole, una ‘faccia il botto’ e le altre falliscano. E’ naturale, fa parte di un processo di selezione darwiniano. Si parla di capitali di rischio perché si rischia. Entrambi, investitori e imprenditori. L’altro macigno culturale è la sottovalutazione dello sviluppatore di software, il software designer. I programmatori sono considerati come operai metalmeccanici, non creativi o innovatori. Portando ingegneri bravissimi a scegliere la consulenza alle grandi aziende, invece del lavoro d’inventiva e originale. E’ un grande errore, da correggere. “I software designer sono artisti”, afferma Capobianco. In Italia e si potrebbe dire anche a San Marino mancano le condizioni per creare aziende globali, manca l’ambiente giusto dove vendere il software e le aziende. Quell’ambiente si chiama Silicon Valley: ci sono i capitali e il fallimento fa parte del gioco. Qui le exit sono all’ordine del giorno. C’è chi compra innovazione e chi la vende. La start up la creano altrove (in India, in Cina, in Israele) e la vendono nella Silicon Valley. L’innovazione in Italia, il capitale e la exit in America (vendere l’azienda o andare in Borsa). Un approccio pratico all’innovazione.

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