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Urbanism: il progresso della città  del 2000

da Redazione

“Urbanism_art in progress”: una nuova visione nel rapporto tra uomo e città. L’archeologia industriale che si inserisce in nuovi tessuti urbani è al centro della mostra fotografica che s’intitola appunto Urbanism in programma dal 22 maggio al 30 luglio ad Antao Progetti (San Marino). Le due firme nascoste dietro la macchina fotografica sono fra l’altro quelle di due fotografi veramente notevoli, Silvio Canini e Matteo Astolfi. Che raccontano le proprie opere.

Di Alessandro Carli

 

La questione relativa agli spazi pubblici urbani aperti coinvolge una molteplicità di soggetti e soprattutto porta alla ribalta il carattere consumistico e la natura privata della società. Le piazze, nel senso tradizionale del termine, sono scomparse, e sebbene le loro forme e funzioni siano ormai tramontate, il loro inestimabile valore è tuttora presente e determinante nel contesto urbanistico.
Ciononostante, la città possiede un fascino intrinseco: è il luogo dove la vita si svolge o accade. E’ un passaggio dei tempi (l’archeologia industriale che si inserisce in nuovi tessuti urbani), un sistema che spesso non viene osservato con le dovute attenzioni. E’ – dal 22 maggio – terreno d’indagine di due fotografi (Silvio Canini e Matteo Astolfi) che, sino al 30 luglio, sono in mostra all’interno della sede di Antao Progetti di Domagnano (Strada la Paderna, 2 – Centro Fiorina, quarto piano). Dietro a “Urbanism_art in progress” si apre una visione sul rapporto tra uomo e città, che si sofferma sul ruolo dell’architettura nella quotidianità, “architettura” nella sua accezione più ampia dove lo spazio e il luogo diventano protagonisti di stili di vita. Un rapporto che forse parte dai concetti che Le Corbusier diede all’architettura moderna (il francese concepì la costruzione di abitazioni ed edifici come fatti per l’uomo e costruiti a misura d’uomo: ‘solo l’utente ha la parola’, affermò in ‘Le Modulor’, l’opera in cui espone la sua grande teorizzazione, il modulor, ovvero una scala di grandezze riguardo le proporzioni del corpo umano che devono essere usate da tutti gli architetti per costruire non solo spazi ma anche ripiani, appoggi, accessi) ma che di fatto intraprendono altre traiettorie. L’esposizione propone una riflessione a vista d’uomo sull’urbanità e sui suoi confini, passando per luoghi quotidiani a volte dimenticati o consumati velocemente. Sul filo di queste domande, i due fotografi romagnoli presentano alcuni scatti che esplorano i luoghi e non luoghi, spazi irriducibili, e “residui” di città. “Il lavoro – racconta Silvio Canini – si svolge in due spazi. Sulle pareti, all’interno dello studio, sono appese una serie di fotografie ‘vere’, in bianco e nero, che rappresentano attimi e respiri di città: grattacieli, strade, persone. Una buona parte proviene da un’indagine che ho realizzato nel 1998 a pellicola, e che è stata racchiusa in un libro, ‘We are open’, dedicato a NY. Da questo viaggio nella Grande Mela ‘escono’ i palazzi contaminati dalle persone, in un equilibrio di volumi e spazi. Nei corridoi di Antao invece sono esposte alcune foto di grandi dimensioni: qui è possibile osservare le persone, ‘people’. Sono stampe di grande formato, realizzati recentemente sempre all’ombra della Statua della Libertà: sono alte circa 2 metri e 40 e larghe un metro, un metro e mezzo. Qui ho lavorato con il digitale e sono state stampate su carta da manifesto”.
Per Matteo Astolfi l’indagine si è svolta nelle periferie dove, spiega lo stesso artista, “vige il silenzio. Ho scattato a pellicola, con una Nikon 35 millimetri, evitando il ‘fotoritocco’ di post produzione e cercando uno sguardo riflessivo e romantico dei territori. Ci sono alcune immagini di un quartiere operaio di Barcellona, a cui ho aggiunto qualche squarcio della campagna romagnola e un paesaggio milanese. Le foto, al di là della composizione e del taglio, possiedono una mia interpretazione della realtà”.

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