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Economia di guerra tra Rimini e il Titano

da Redazione

La Repubblica di San Marino per anni ha sostenuto, approvvigionato, ospitato decine di migliaia di sfollati italiani ed ebrei. Ha stroncato sul nascere il mercato nero e le esportazioni clandestine. La vera storia di un’economia di guerra che ha arricchito lo spirito umanitario di una piccola nazione, ed ha salvato molte vite di cittadini riminesi.

 

La città morta. Così la chiamavano. Rimini era una città fantasma devastata dai bombardamenti tra il 1° novembre 1943 e il 21 settembre 1944. La Repubblica di San Marino diventa uno “sterminato rifugio”, come dichiarò al futuro editore Bruno Ghigi il giornalista Guido Nozzoli. Il quale, il 19 settembre 1944, mentre si combatte per la presa di Borgo Maggiore, riesce a passare le linee ad Acquaviva. Deve contattare ufficiali dell’Ottava Armata che stanno preparando la “seconda Cassino”. Si consegna loro prigioniero e li informa della “drammatica situazione dei civili rintanati nelle gallerie”. Il comando inglese rinuncia così “al bombardamento di spianamento di San Marino programmato prima”. Il Titano è salvo con le decine di miglia di rifugiati italiani. Nozzoli, allora sottotenente del Regio Esercito, scrive in un documento ufficiale (edito da Liliano Faenza nel 1994): “Assicurai l’assoluta assenza di batterie tedesche nel perimetro della città”.
E in quella fine estate del 1944 anche i rifugiati di Vergiano e dei paesi intorno a Rimini si trasferirono a San Marino: i bombardamenti continui avevano reso impossibile la vita anche fuori città. Nella casa dove la famiglia Marvelli trovò alloggio c’era una stanza piena di materassi di lana che erano stati affidati ad Alberto Marvelli da alcuni amici perché li custodisse. Una sera tornò accompagnato da alcuni uomini. Fece aprire la stanza e distribuì i materassi a quella gente. “Dormono per terra in gallerie sotterranee”, disse a sua madre. “Se non si proteggono, finiranno per prendere i dolori ”. Quando i padroni dei materassi vennero a sapere che li aveva regalati, restarono male, però non ebbero il coraggio di protestare perché volle pagarli. Anche il futuro Beato Alberto Marvelli, l’ingegnere santo morto a soli 28 anni, sfollò a San Marino insieme a decine di migliaia di persone. Un’epopea tragica quella degli sfollamenti durante la guerra. San Marino accolse, non solo riminesi, molti vennero da altre parti d’Italia; arrivarono confidando nelle neutralità dello stato sammarinese anche ebrei in fuga dalla morte sicura nei campi di concentramento.
Nell’estate del 1944 c’erano, secondo alcune fonti, circa 40.000 sfollati nella Repubblica, a cui si aggiungevano i circa 15.000 abitanti sammarinesi. Manca l’energia elettrica, le razioni sono 50 grammi di pane al giorno, ma se ne riescono a sfornare 70.000 porzioni. Vige una classica economia di guerra da razionamento. Gli approvvigionamenti quotidiani delle famiglie venivano concessi attraverso apposite tessere. Il commissariato per i viveri aveva stabilito specifiche regole di distribuzione.
Lo Stato sammarinese intanto aveva bloccato le esportazioni soprattutto di vino ed olio: si era organizzato in modo tale da evitare il mercato nero in Italia con l’esportazione clandestina di beni alimentari a prezzi da strozzinaggio. Infatti San Marino, oltre che per la sua posizione neutrale, era in qualche modo ambita dagli sfollati perché pensavano di trovare maggiori vettovaglie che in pianura. I benefici indiretti per gli sfollati provenivano proprio dalla maggiore disponibilità di generi di prima necessità e scorte alimentari.
La Repubblica accolse questa massa enorme di sfollati equiparandola in qualche modo ai sammarinesi: offrì anche a loro le tessere per il razionamento. Procurare il cibo per tante persone comportò uno sforzo enorme, che tuttavia fu compiuto senza alcuna esitazione. “Lo Stato sammarinese fu accogliente, ma non fece della beneficenza”, puntualizza il professor Cristoforo Buscarini.
I profughi erano in affitto, ospitati da conoscenti, dormivano nelle campagne circostanti. Venivano sistemati nei palazzi, nelle chiese, avevano portato con sé il bestiame sperando che non fosse requisito, o spazzato via dai bombardamenti. Vennero allestiti rifugi antiaerei nelle gallerie nelle quali dormivano sammarinesi e italiani. Nell’inverno tra il 1943 e il 1944 ci furono trattative estenuanti da parte dei rappresentanti sammarinesi con la Repubblica Sociale Italiana e i tedeschi per avere i permessi per un minimo di approvvigionamenti per benzina e riscaldamento.
Uno dei simboli della sopravvivenza alimentare e di quella tragedia fu il Silos Molino Forno, l’attuale sede del Palazzo S.U.M.S., dove la gente si recava a prendere la propria razione di pane.
26 giugno 1944. Una magnifica giornata di sole illumina le donne che fanno la fila attendendo il loro turno davanti al Silos Molino Forno. Undici aerei “Baltimore” dell’aviazione britannica decollano da Pescara. Poco dopo le 11 sono sopra San Marino sul quale scaricano, in tre ondate, senza alcun preavviso, 22 bombe da 500 libbre e 33 da 250. Una strage inutile: 63 vittime. Vittime di un’informazione di intelligence sbagliata, secondo la quale nella stazione di Città c’era un deposito di armi tedesche. Il governo di San Marino fece richiesta per il risarcimento dei danni il 7 febbraio del 1945. La Camera dei Comuni inglese riconobbe un indennizzo di 80mila sterline “per le sofferenze subite dalla popolazione di San Marino” a causa del bombardamento.

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