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Il maxi-salvataggio europeo è la penultima cartuccia

da Redazione

Su San Marino Fixing la rubrica PRIMA NOTA di Paolo Brera si concentra sull’attualità internazionale. Dopo l’annuncio dello scudo salva-euro la borsa s’impenna. E poi barcolla. Tutto risolto? Neanche a parlarne. Se il maxi-salvataggio è la penultima cartuccia, resta ancora in canna un’ultima opzione: “l’opzione fine-del-mondo”.

Di Paolo Brera

Ce l’avevano fatta. Sembrava. Perché la risposta dei mercati, entusiasta in prima battuta, è apparsa molto meno convinta il giorno successivo, con le Borse che sono scese e risalite e ridiscese, una volatilità che è indizio sicuro di stress. Vero, la creazione del Fondo europeo di soccorso è stata un soprassalto di buonsenso in un ceto politico europeo rincitrullito. Particolarmente deprimente la performance della Merkel, che si è fatta pregare per mesi per non scontentare un’opinione pubblica ignara dei suoi stessi interessi, visto che un default greco sarebbe costato alle banche tedesche, e subito dopo a Herr Steuerzahler, ben di più della cifra impegnata nel salvataggio.
Ma adesso il Fondo c’è, anche se i dettagli ancora non sono chiari. Non è proprio l’ultima cartuccia, ma è senz’altro la penultima, e l’ultima sarebbe poi un provvedimento alla Pietro Micca: proibire le vendite allo scoperto, bloccare il mercato dei capitali, chiudere le frontiere agli hedge fund e agli intermediari anglosassoni, inclusi quelli britannici, aspettare la loro inevitabile bancarotta e solo allora rimettere insieme i resti dell’economia globale. L’opzione Fine del Mondo.
La potenza di fuoco di quanto hanno deciso domenica i leader europei è indubbia. Si parla di 750 miliardi di euro, che espresso in dollari fa più di 951 miliardi e dunque si presta all’arrotondamento, sempre così gradito a quelli che fanno i titoli delle notizie: mille miliardi, cifra che alcuni giornali credono equivalga a un trilione mentre invece, dizionario alla mano, è mille volte di meno. Ma che siano 951 miliardi, un trilione o un fantastilione, è un bel po’ di denaro, che potrebbe tirare fuori dai guai ben altri Paesi che la Grecia.
Tutto finito, allora? Col cavolo. Purtroppo. La crisi ha messo in piena luce il vero problema: lo scompenso fra entrate e uscite dello Stato in molti Paesi, oppure, che è lo stesso, lo scompenso fra esportazioni di beni e servizi e importazioni. L’Europa non è molto competitiva, ma ha credito, o meglio l’ha avuto. Altri producono a costi più bassi, perché pagano salari inferiori, si imbarazzano meno di problemi sociali e prendono regolarmente a martellate nelle gengive la signora Gaia, che tutti ci alimenta e sorregge. Non facciamo nomi! ma il Paese in questione, quello dove è nato il signor Mencio, nella sua lingua si chiama Zhōngguó . L’Europa deve, se può, specializzarsi nei settori dove quelli là ancora non arrivano, e/o accettare una riduzione di lungo periodo del suo tenore di vita (e quindi dei salari). In cambio dei loro prodotti, a quelli là offriremo le bellezze della Romagna e una scorpacciata di bi sà bing negli appositi locali pubblici, detti pizzerie.
La chiave è la credibilità dell’Europa. La Grecia aveva cessato di essere credibile; l’Europa l’ha presa su per la collottola e l’ha tirata fuori dalle sabbie mobili, ma dove precisamente appoggia i suoi piedi il soccorritore? Il problema concreto dietro la credibilità è lo squilibrio nei conti pubblici, in primo luogo di quelli dell’Eurozona (la Gran Bretagna deve ancora accorgersene). Durante la riunione straordinaria di Bruxelles, l’Ecofin ha chiesto a Spagna e Portogallo di impegnarsi subito per misure aggiuntive per ridurre i loro deficit. Madrid e Lisbona hanno accettato e quest’anno dovranno realizzare manovre aggiuntive per l’1,5% del Pil, mentre nel 2011 la correzione dovrà essere pari al 2%. Ma il riequilibrio, è evidente, non potrà arrestarsi ai soli Paesi più vociferati.
Né si potrà lasciare intatta la regolazione dei mercati finanziari. Non di botto, sotto la pressione degli eventi. Con un po’ più di tempo a disposizione, nemmeno Pietro Micca avrebbe avuto bisogno di immolarsi: compiuto il dover suo, sarebbe uscito a fumarsi una pipata. I ministri finanziari europei, alla riunione di domenica, hanno auspicato “rapidi progressi” nel regolamentare i mercati finanziari e rafforzare la vigilanza, sopra tutto per quanto riguarda i mercati dei derivati e il ruolo delle agenzie di rating. E si sono impegnati ad approfondire l’idea di un’imposizione fiscale sulle transazioni finanziarie, per esempio la cosiddetta “Tobin Tax”, in modo da raffreddare i modi inconsulti del settore.
“Pagare” è una parola chiave. I soldi non si trovano sugli alberi, li creano le Banche Centrali. Fatto nuovo, la Bce si è impegnata ad acquistare obbligazioni con rating sotto il livello “Investment Grade” – ovviamente quelle della Grecia. Ma ha anche detto che “sterilizzerà” tale creazione di liquidità cedendo sul mercato altri titoli. In altri termini, la Bce compirà un arbitraggio fra i debiti dei Paesi dell’Eurozona, comprimendo i tassi pagati dalla Grecia e aumentando quelli di altri. Perché la cosa si possa fare sono necessarie misure di austerità ancora maggiori. Gli anelli deboli della catena europea sono poi i soliti: Spagna, Irlanda, Portogallo, ma anche, in seconda battuta, Italia e Francia. Mutato nomine, la favola greca parla anche di loro.
 

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