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Ecco che cosa vuole il Ministro Tremonti

da Redazione

Anticipazione di San Marino Fixing, in distribuzione da oggi (e scaricabile in formato pdf e sfogliabile on line sul nostro sito). Il Titano resterà in black list finché non cambia davvero, dixit Tremonti. E a decidere che il cambiamento sia vero e non solo a parole sarà lo stesso Ministro all’Economia. Ma il cambiamento (pur forzato), può essere governato da San Marino. Ecco come.

di Loris Pironi

 

La Repubblica di San Marino resterà ad ogni effetto nella black list italiana fino a quando non saranno formalmente e sostanzialmente in vigore tutte le norme necessarie per integrare gli standards internazionali legali, fiscali, antiriciclaggio, eccetera.
Adesso è finalmente chiaro che cosa vuole Giulio Tremonti dal Titano. L’ha detto martedì sera in una nota ufficiale del MEF, il Ministero delle Finanze, dopo la missiva un po’ più accomodante (più che altro meno raggelante) di venerdì scorso, indirizzata al neo Segretario alle Finanze di San Marino Pasquale Valentini. Una missiva in cui tuttavia si richiedeva, anche in quel caso senza troppi giri di parole, che la Repubblica di San Marino cedesse sullo scambio automatico di informazioni anche in ambito bancario.
Questa la notizia, insomma, su cui nessuno può più girarci troppo intorno: San Marino è in black list e ci rimarrà fino a che le condizioni non cambieranno. Fino a che Giulio Tremonti non deciderà che la situazione di San Marino è cambiata davvero.
Ma magari la prospettiva da cui guardare le cose può essere anche un’altra.
Una prospettiva in cui la Repubblica di San Marino è in grado di accettare il proprio passato, e proprio in virtù di questo riesce a governare il proprio futuro. Il rischio che si corre è quello di voler essere ottimisti a tutti i costi, ma in realtà non ci sono tante altre strade da seguire per il Titano.
“L’Italia al futuro” recitava lo slogan di un convegno di Confindustria andato in scena qualche settimana fa a Parma (a proposito, c’era anche Giulio Tremonti). Il Titano può riprendere questo slogan perché “San Marino al futuro” si coniuga bene, anzi, si deve coniugare bene per forza.
Quando si riuscirà a guardare con occhio più distaccato a quanto accaduto in questi mesi – la crisi mondiale, il giro di vite internazionale nei confronti dei paradisi fiscali, lo scudo fiscale – ci si renderà conto che San Marino ha attraversato una fase di vera e propria rivoluzione. E le rivoluzioni, se si riesce a cavalcarle, possono offrire nuove opportunità. Certo, bisogna essere all’altezza e saperle cogliere.
San Marino, oggi, non ha altra scelta. Deve accettare la propria storia economica recente, fatta di anonimato e di segreto bancario, anche perché fino a pochi mesi fa era accettata e condivisa dal mondo intero. Ma nello stesso tempo deve mettere in campo tutte le forze possibili per cambiare, per riuscire a creare un nuovo sistema “vincente”.
Nel Dna dei sammarinesi è scritta la capacità di rialzarsi da situazioni difficili e disegnare nuovi scenari. In passato è già successo più volte. Richiederà norme rigide e applicate per evitare le distorsioni. E costringerà a nuovi sacrifici, per entrare stabilmente e senza più pregiudizi in un mondo dove gli scambi di informazioni sono la prassi. Le imprese di San Marino hanno già dato il proprio assenso a questo necessario cambio di passo. L’ANIS ad esempio insiste per mettere in campo scambi con il modello Intrastat – la decisione finale anche in questo campo deve essere politica – e punta su un modello “etico” di sviluppo imprenditoriale quale chiave per il futuro. Più articolato invece deve essere il discorso legato al sistema bancario sammarinese, che dopo lo scudo e senza più il segreto, deve essere ad esempio messo nella possibilità di espandersi in territorio italiano, ma anche in questo caso serve una trattativa seria e serrata – alla pari – con Roma.
Chiudiamo con una riflessione sullo scudo fiscale: a San Marino è costato 4.753 milioni di euro (fonte BCSM), un terzo circa della raccolta bancaria totale diretta e indiretta. San Marino deve dunque fare i conti con una massa importante di risorse finanziarie in meno. La speranza è che non vadano ad incidere troppo in negativo sul sistema delle imprese, che resta la spina dorsale del Paese.

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