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GB, Gordon Brown lascia ma guasta i piani dei Tories

da Redazione

Gordon Brown è pronto a dimettersi. Ma più che di dimissioni nel Regno Unito si parla di negoziato, perché sul tavolo ora ci sono due ipotesi che guastano i piani dei Tories: da un lato l’alleanza “progressista” tra Labour e Lib-Dem, dall’altro il “ballo nel buio” con lo stesso Brown. Cosa sceglierà Nick Clegg, leader dei Lib-Dem, che a questo punto ha il pallino in mano? Oggi è probabilmente la giornata decisiva.

"Più negoziato che dimissioni": la decisione del premier britannico uscente, Gordon Brown, di porre un termine al suo mandato, ha sconvolto i piani dei Conservatori, vicini ormai ad un accordo di coalizione, rimettendo in pista l’ipotesi della "alleanza progressista" tra il Labour e i Liberal-Democratici. Come riporta il quotidiano The Guardian, la giornata di oggi dovrebbe rivelarsi decisiva: il leader dei Lib-Dem Nick Clegg non potrà infatti tardare a scegliere quale delle due offerte sul tavolo accettare, se quella dei Tories di David Cameron o "l’invito a ballare nel buio" di Brown. L’offerta dei Conservatori ha il vantaggio di rispettare due dei criteri più volte difesi da Clegg, quelli della stabilità e della legittimità; al contrario, una coalizione Lab-Lib non avrebbe comunque la maggioranza assoluta e con Brown alla guida rappresenterebbe la continuazione di un governo bocciato dall’elettorato. La decisione di Brown offre una risposta al secondo di questi problemi, anche se Clegg non potrà avere alcuna influenza su chi sarà il suo successore: se accetterà una coalizione, "conoscerà il suo partner solo a ballo iniziato". Non che il colpo di scena fosse del tutto inaspettato: Clegg non aveva mancato di segnalare quale ostacolo rappresentasse Brown per le possibilità di un’alleanza, e non pochi dei Ministri uscenti e dei dirigenti del Labour avevano già fatto pressioni ieri sul premier perché lasciasse l’incarico. In caso di successo Brown si è tuttavia ritagliato un piccolo mandato, sebbene a termine: nessun successore potrà infatti essere eletto prima di settembre. Soprattutto, conclude il Guardian, si è guadagnato un’uscita di scena degna e senza umiliazioni.
Favorevole all’alleanza progressista è il quotidiano The Independent, strenuo difensore della legge di riforma elettorale: un accordo "contro natura" coi Tories non avrebbe prodotto che una scissione nei ranghi del partito Liberal-Democratico, come già accadde negli anni Trenta; inoltre, gli impegni assunti dai Conservatori in merito alla riforma si limiteranno a delle commissioni e a un referendum che nessun parlamentare del partito ha intenzione di difendere. Di contro, dopo l’apertura dei negoziati con il Labour il conservatore The Times accusa i Lib-Dem di essere "totalmente inadatti al serio compito di governare" e invita Clegg a scegliere tra "la debolezza e la leadership", quest’ultima ovviamente implicita solo in un’alleanza con i Tories: mantenere Brown a Downing Street per altri cinque mesi, conclude il quotidiano, "è un affronto alla democrazia". La mossa di Brown ha costretto Clegg a dover aprire un negoziato con il Labour, partito sicuramente più affine e di gran lunga preferito dalla base dei Lib-Dem, assai poco entusiasta – è per usare un eufemismo – dell’idea di una coalizione con i Conservatori; inoltre, gli ha consentito di cercare di alzare il prezzo con Cameron, dato che adesso ha a disposizione un’alternativa politica reale. Per Clegg rimangono però alcuni dubbi, alla luce soprattutto del fatto che la coalizione dovrebbe comunque basarsi anche sul sostegno – o la non opposizione – di numerose formazioni nazionaliste gallesi, scozzesi e nordirlandesi; senza contare l’etichetta di "asse dei perdenti" che inevitabilmente segnerà qualsiasi alleanza Lab-Lib nonostante l’addio di Brown, e che potrebbe irritare parte dell’elettorato. Non va infatti dimenticato che l’esito più probabile dell’attuale crisi è quello di nuove elezioni entro il prossimo anno, nelle quali le decisioni di questi giorni finiranno per contare non poco, specie per il leader Lib-Dem: un’alleanza con i Tories potrebbe costare cara alle urne, ma anche l’appoggio a un governo sconfitto.

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