E’ uscita “Settembre”, la prima raccolta di liriche di Pasquale D’Alessio.
Di Alessandro Carli
La poesia è una penna e un foglio che, tra le dita, diventano fragili e pesanti. La poesia è un flusso che il cuore filtra, è una stella filante che qualche volta diventa cometa. La poesia può nascere da un male oscuro che è difficile diagnosticare, appesa fra il passato, il futuro e un presente pronto a scappare. La poesia si fissa, e rimane per sempre. La poesia è la vita, e le stagioni del cuore. La poesia, per Pasquale D’Alessio, è racchiusa in un mese esatto: “Settembre”. Settembre come la coda del-l’estate, come l’attesa dell’arrivo dell’autunno quando non è ancora autunno. “Settembre” come la raccolta di poesie stampata da Raffaeli editore di Rimini: un tuffo nel tempo, a ricamare gli attimi dell’anima. Nera, ma solo nella copertina: di quel nero ‘non passato’ – e non parliamo mai di Kronos tempo che scorre bensì di Aion tempo circolare – dove, a maneggiarlo, rimangono le impronte del lettore. “Settembre” è il tempo del ricordo. E’ il tempo del poeta, come ha scritto con estrema precisione Davide Rondoni su Il Sole 24 Ore proprio su “Settembre”: “(…) D’Alessio, con i suoi versi spogli e ritmati, narra la chiusura delle spiagge evocando il tema eterno del senso del tempo”. Un senso che rincorre l’uomo nel suo cercare – anche a settembre, anche al mare – il senso più profondo dell’esistenza. Della parola. Nel tempo – ancora il tempo, sempre il tempo – delle ombre, che a settembre si allungano, e lasciano segni – di_segni – da leggere, decifrare. Parole come verbi, come immagini virate seppia – nel mare, per a_mare – che chiedono di bagnarsi per respirare un po’ in infinito. Per mettersi in viaggio, attraverso gli occhi, ed entrare “dentro” il lettore. Strette e legate assieme – come nodi di bagnini – dal tempo.
“(…) Quando poi che piove
e piove molto
ci sono pozzanghere
nei campi di bocce.
Quando poi li ricordi
i giocatori di bocce
sono colli che s’allungano
a raddrizzare traiettorie (…)”.
“Settembre è un tempo non tempo – racconta il poeta Pasquale D’Alessio -, e racconta del mare della Riviera, quando i bagnini iniziano a spostare ogni cosa, e i mosconi rimangono lì, e i giochi dei bambini vengono accatastati”. Come in un verso lieve. Perché settembre – il mese – è quello che l’estate lascia. E’ un tempo della memoria – di saviniana memoria – che qui si fissa come piedi sulla sabbia, che il mare non vuole cancellare. “A settembre – spiega D’Alessio – c’è una luce che non si vede negli altri mesi dell’anno: il sole è ancora lucente e forte, ma non è caldo come in agosto. A settembre il caldo ti fa compagnia. E lì il poeta ha a che fare con il dolore e con la nostalgia”. Perché il tempo è un passaggio. Un passaggio di tempo.
“Manivuote
il vento di tramontana
le fa ruvide l’anima per polpastrelli colmare
quelle tue carezze”.
Colmare. Col mare. Separati da un istmo bianco, infinito e allo stesso tempo – ancora il tempo – stretto. In mezzo, l’infinito Oceano del cuore, l’attesa del tempo – ancora il tempo – che scandisce attimi da osservare. Da accogliere. Tra una penna ed un foglio. “La poesia non risponde ad una cosa equazionabile: è altro, e fa i conti con il tempo, che va ascoltato. Lì ti trovi davanti al vuoto e non al niente”. Scrive con le mani, D’Alessio. “Quelle che Hegel – ricorda – definiva il cervello esterno dell’uomo”. Mani segno accarezzato i sogni. Mani che oggi si lavano nel mare, elemento infinito che porta al viaggio. Poi il poeta si interrompe un attimo. Si alza. E afferra un quadro. “C’è molta polvere: sono 14 anni che è lì. Polvere, ma anche tante parole assorbite, ascoltate”. La stessa che “esce” da un bellissimo frammento di Alda Merini: “Non so se esistano le ali della farfalla, ma è la polvere che le fa volare. Ogni uomo ha le piccole polveri del passato che deve sentirsi addosso, e che non deve perdere. Sono il suo cammino” (da “La pazza della porta accanto”). Uno squarcio di vita. Un tappeto di sedimenti, che con il tempo – ancora il tempo, sempre il tempo – entrano a far parte della vita. “Settembre” – la raccolta – è un viaggio emozionante di un gabbiano dentro l’uomo: 64 pagine, dentro il suo tempo. Dietro l’attesa, da una finestra privilegiata: quella dell’uomo, dove, da un lato, ‘esce’ una volontà di osservazione partecipata della natura, e dall’altro la lontananza sofferta, il distacco, la mancata unione assoluta. Di fronte ad una natura che sembra amoreggiare, tra palpiti e carezze, in una sorta di amplesso cosmico, il poeta può solo osservare e domandarsi, senza comprendere fino in fondo. Non esiste risposta al mistero della natura, non c’è ponte di cui si veda la fine: solo un accenno di percorso, fantastico e luminoso, ma che non lascia altro che una domanda angosciosa sul destino delle umane cose e della natura. Parole in_segnate, che lasciano il segno. Dentro. Liriche perlopiù brevi, come guizzi. Come le pennellate impressioniste – “Impressioni di settembre” – di Vincent Van Gogh: rapide, arricciate, che sin intrufolano negli angoli più remoti del cuore. E lì ri_siedono, per cercare una vita già vissuta, o totalmente nuova. Perché, come scrive D’Alessio, “poi, nella vita, arrivano gli anni”.