La crisi ha cambiato tutto, meno che i programmi d’insegnamento universitari dell’economia. Come tanti anni fa, gli studenti seguono prima un corso di microeconomia e poi uno di macro.
La crisi ha cambiato tutto, meno che i programmi d’insegnamento universitari dell’economia. Come tanti anni fa, gli studenti seguono prima un corso di microeconomia e poi uno di macro. Il problema è la separazione tra le due parti. I docenti dovrebbero invece affrontare fin dall’inizio le questioni poste dalla realtà economica.
Spesso si discute di riforma dell’università e di formazione delle classi dirigenti ma non si discutono i contenuti dell’insegnamento. Eppure, il contenuto ed il modo di insegnare non sono scontati come lo sarebbero se i saperi fossero distaccati da quanto accade nel mondo e, pertanto, dati per sempre. Se è vero che l’attuale crisi economica e finanziaria ha cambiato profondamente l’economia, le istituzioni finanziarie, il nostro modo di fare politica economica e la nostra teoria economica, deve anche cambiare il nostro modo di insegnare l’economia. Tuttavia, nei programmi universitari d’insegnamento dell’economia, tutto è business as usual; tutto è come prima della crisi. Nel primo anno di università si continua ad insegnare l’economia come trent’anni fa, con pochissimi ritocchi: più nella parte “macro”, quella legata all’evolversi delle istituzioni. Prima un corso di microeconomia, che dia i fondamenti della materia e, poi, un corso di macro che spieghi il funzionamento dei mercati, la crescita economica e l’inflazione. Il problema, tuttavia, non è la sequenza: prima la micro, poi la macro; ma piuttosto, quello della separazione tra le due parti, così netta che oggi sono insegnate in corsi distinti, da docenti distinti. Una separazione introdotta da Paul Samuelson, nella prima edizione del suo celeberrimo manuale di economia, in cui, tuttavia, la prima parte era costituita dalla macroeconomia e la seconda dalla microeconomia, ordine da lui stesso invertito in seguito. Ebbene, se questa separazione ha mai avuto un senso, oggi, davvero, non l’ha più. Ecco degli esempi: la teoria dei tassi d’interesse è micro o macro? La politica monetaria (macro) non dovrebbe focalizzarsi su obiettivi e settori specifici (micro)? L’analisi dei mercati finanziari, della Borsa e dei mercati immobiliari sono temi micro o macro? È evidente che queste distinzioni, oggi, non hanno veramente più alcun senso.
Ma se così è, allora non ha più senso mantenere un’impostazione didattica superata dagli eventi economici.