Home NotizieEconomia La lezione del vulcano: l’economia è fragile davanti alla natura

La lezione del vulcano: l’economia è fragile davanti alla natura

da Redazione

Pensavamo di aver imbrigliato la natura, ma la natura è potente. Mette a terra l’uomo – come nel caso del nostro ormai famoso vulcano islandese dal nome impossibile (Eyjafjallajokull) – ma soprattutto ci dimostra quanto sia fragile la nostra economia di fronte ai capricci della natura. Danni gravi già per il settore dell’alta tecnologia, solo il settore del turismo potrebbe sottrarre 2 punti di Pil all’Europa.

di Lou Nissart

 

Una cosa ci ha ricordato il vulcano islandese dal nome impossibile, e dobbiamo essergliene grati: la fragilità dell’economia di fronte ai fenomeni naturali. Ce l’eravamo quasi scordata. Credevamo di aver imbrigliato la Natura, invece è ancora lei la più forte. Quando si vanno a fare i conti preliminari dei possibili effetti delle ceneri lassù in alto, il risultato è inquietante.

Non aiuta che gli studi sulle eruzioni vulcaniche non siano molto avanzati, e che gli stessi scienziati non sappiano bene che cosa aspettarsi. Quanto zolfo e quanto arsenico ci siano al momento attuale nelle fasce superiori dell’atmosfera, occupate dalla nube del Vayjnmonajökull o come accidenti si chiama, non è dato sapere, e non è che non faccia differenza, nevvero. Si sa però che il 1816, a causa di un’altra eruzione, passò alla storia in Europa come "l’anno senza estate", dunque un anno di carestia; e si sa che nei secoli scorsi altre eruzioni furono seguite da anni di freddo intenso; e che a volte le ceneri vulcaniche sono tossiche e possono avvelenare interi tratti di campagna, anche se non siamo a conoscenza di alcun fenomeno di questo tipo su ampi territori. Il Ciseyocjifayjökull è sulla stessa strada? Non lo sappiamo. Ma quel che sappiamo è più che sufficiente a preoccupare.

L’impatto economico della nube si farà sentire sempre di più se l’eruzione continuerà a lungo (l’ultima volta che l’Ipsylongeyjökull ha dato fuori di matto, ci ha messo un anno e mezzo a placarsi) e se l’emissione di polveri resterà elevata, anche se un certo abbattimento è previsto a causa del completo scioglimento della calotta glaciale presso il vulcano: in precedenza, era il vapore acqueo che si mischiava alle ceneri a spingere la nube verso gli strati dell’atmosfera a 10km di altezza. Ma già adesso operatori economici tanto diversi fra loro come gli importatori di fiori e frutti africani, le imprese high-tech, le fiere e il settore turistico stanno risentendo pesantemente del blocco della circolazione aerea. Gli economisti non hanno ancora ritoccato le previsioni economiche per l’Europa, che è la regione della Terra più colpita dalla nube vulcanica. Ma se le ceneri resteranno in circolazione a lungo, diciamo per qualche mese, il solo settore del turismo e trasporti sottrarrà all’Europa da uno a due punti di crescita del pil, facendo passare il risultato annuo da 1,5% a un valore intorno allo zero.

«Questo vorrebbe dire che molti Paesi europei non avrebbero alcuna crescita», spiega Vanessa Rossi, economista a Chatham House: «La ripresa sarebbe letteralmente strangolata nella culla». Il turismo rappresenta il 5% circa del pil mondiale, e un terzo del suo giro d’affari si trova in Europa. Vanessa Rossi pensa che la chiusura dello spazio aereo europeo possa avere un costo da 4 a 7 miliardi di euro alla settimana. Se può consolare, per adesso è un’ipotesi, non una previsione, perché non ci sono esperienze precedenti a cui rifarsi.

Il commercio pagherebbe anch’esso un prezzo molto alto. Sebbene il trasporto merci per via aerea coinvolga una parte abbastanza piccola del tonnellaggio complessivo, si tratta della frazione più pregiata del commercio internazionale. In valore, i beni consegnati mediante aeromobili sono un insospettato 40% del totale. Le possibilità di passare al trasporto su gomma o evitare gli aeroporti chiusi sono abbastanza limitate.

Nei settori ad alta tecnologia, dove è molto diffusa l’organizzazione Jit (Just-in-time), il blocco dei trasporti aerei ha già provocato danni gravissimi. I grandi spedizionieri come Dhl, Ups e FedEx sono in crisi per l’impossibilità di raggiungere i loro grandi snodi operativi, situati in Francia e in Germania. Anche l’effetto del blocco sul mercato petrolifero è già vistoso. Una delle frazioni più pregiate del petrolio è il jet fuel, cioè il combustibile per i grandi aerei di linea. La domanda è venuta a crollare proprio mentre scendeva, per motivi climatici, anche la domanda di gasolio e di olio combustibile. Risultato, il prezzo del barile di greggio, che si era inerpicato fino ad 86 dollari al barile, è ridisceso fino ad 83.

Impossibili da quantificare sono gli effetti dell’impossibilità di viaggiare per figure come i manager, i venditori e i tecnici. Certe riunioni possono essere rimandate di una settimana, però non di due mesi, certe vendite non si possono fare per telefono e l’assistenza bisogna prestarla dieci ore fa e non il mese prossimo. Questi non sono effetti di breve periodo, ma si cominciano già a sentire. Il vulcano Eyjafjallajökull (col tempo arriveremo tutti a scriverlo nel modo giusto, anche se forse non ad amarlo) ci insegna quanto la nostra vita e il nostro benessere dipendano ancora dal mondo naturale, e non da quello della tecnologia.

 

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