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Interno 4, si gioca con accenti, parole e black&white

da Redazione

In un angolo nascosto nei pressi di piazza Cavour, Rimini, Italy, si trova la libreria Indipendentemente – Interno 4, che lo scorso sabato 17 aprile – alle 21 – ha inaugurato l’esposizione “Folàghe”, la mostra fotografica di 26 scatti di Johnny Baldassarri e Alessandro Carli. La serata è stata accompagnata da musica e reading di spezzoni tratti da “Sbriciolu(na)glio”, il secondo libro di Simone Rossi.

Di Noemi Salis

 

In un angolo nascosto nei pressi di piazza Cavour, a Rimini, si trova la libreria Indipendentemente, che lo scorso sabato 17 aprile – alle 21 – ha inaugurato l’esposizione “Folaghe”, la mostra fotografica di 26 scatti di Johnny Baldassarri e Alessandro Carli. La serata è stata accompagnata da musica e reading di spezzoni tratti da “Sbriciolu(na)glio”, il secondo libro di Simone Rossi. Simone Rossi, lo scrittore, ama De André e lo canta suonando la chitarra, mentre le voci leggono scorci delle sue pagine. Alessandro Carli e Johnny Baldassarri invece, celebrano la Rimini dimenticata fotografando luoghi cercati e luoghi casualmente trovati. Le foto, mi racconta Alessandro, sono state scattate con una Leica e una Hasselblad e sono state sviluppate artigianalmente nel bagno di casa, come dimostrano i pelucchi bianchi che appaiono in alcune stampe. Il titolo “Folàghe”, con l’accento sulla ‘a’, deriva da “Fòlaghe”, ultima canzone dell’album di De André. Ed ecco il primo gioco di suoni. “L’accento – mi dice Alessandro – l’abbiamo spostato sulla ‘a’ perché noi veneti tendiamo ad enfatizzare le ultime sillabe delle parole. Il tema delle fotografie – quelle dell’ex pastificio Ghigi – invece prende spunto dal libro di Gilles Clement, ‘Manifesto del Terzo paesaggio’”. Quando chiedo ad Alessandro come è nata l’idea di questi scatti, risponde che un giorno si è arrabbiato perché nel 2008, anno del trentennale dell’uscita dell’album “Rimini”, non è stata dedicata alcuna celebrazione. Così, come se niente fosse, ci si è lasciati sfuggire questo evento importante per la cittadina riminese, che sembra dimenticarsi dei Fellini, degli Eron, dei De André; che afferma di voler cambiare la propria immagine di divertimentificio ma non fa nulla perché ciò accada. Poi Alessandro mi spiega che dei due, “Johnny è il più tecnico quando scatta, più preciso e più paziente”, mentre lui si lascia più guidare dall’istinto. Tra gli scatti più belli, l’uomo appoggiato sul muro del porto che accompagna la camminata verso il Rockisland, in cui un “pezzo” di Eron (e sono proprio curiosa di sapere quanti di voi erano a conoscenza del fatto che fosse proprio di Eron) rappresenta “La Pigna” di piazza Cavour, in cui gli anziani si poggiano; poi ci sono gli scatti della spiaggia innevata tra cui bellissimo quello dove il mare bacia la neve; ma l’immagine che più mi ha colpito è stata quella scattata al pastificio abbandonato: su un muro appare una carta da gioco, così, per caso, non si sa come ci sia arrivata là (nella foto). Ma passiamo all’altro gioco: “Sbriciolu(na)glio”. “Da sbriciolato+luna+luglio – sussurra Simone Rossi -. A me piace definirlo come una raccolta di scorci di giornate qualsiasi”. Simone mi racconta come non ci sia un inizio e una fine nei suoi scritti, non ama la trama, la costruzione dei personaggi, gli piacciono le cose brevi, l’attimo, la briciola. Mi dice che quando scrive non va mai oltre le 70 pagine e che lui stesso non legge romanzi troppo lunghi. Decide di farne il suo stile. Nelle sue frasi-quasi discorsi, a metà tra poesie e filastrocche, tante sono le rime e le consonanze, tanti gli incastri e le ripetizioni. Simone mi racconta che questo suo secondo libro se l’è pubblicato da solo, scrivendo ai suoi lettori, sul suo blog “Ehi sapete che c’è? Ho scritto ancora, se mi comprate almeno 50 copie lo stampo e ve lo mando”. Le copie vendute sono state 150, a dimostrazione che anche internet, se usato bene, porta i suoi frutti e può essere veramente un mezzo di diffusione culturale. Per vivere Simone scrive di qua e di là e dà lezioni di musica, e finalmente si sente “dentro” il sistema, può urlare a tutti che è un vero scrittore.

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