San Marino Fixing è andato a chiedere agli imprenditori sammarinesi cosa li preoccupa e quali sono i problemi che devono affrontare in questa fase di difficili relazioni con l’Italia, con la black list che incombe come una spada di Damocle. Ecco cosa ci hanno raccontato Barbara Reffi, Simona Michelotti, Piero Tonelli, Enzo Donald Mularoni, Michele Gualandi e Franco Razeto.
Da San Marino Fixing n. 15
Tempi duri per la Repubblica di San Marino. La crisi internazionale e i non certo facili rapporti con l’Italia, i problemi che hanno attraversato il governo e le massime istituzioni finanziarie della Repubblica sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia stringe all’angolo l’imprenditoria sana del Paese: il decreto incentivi e il possibile inserimento di San Marino nella black list potrebbero avere conseguenze disastrose. E intanto l’Agenzia delle Entrate italiana riporta al centro dei propri interessi i circa 700 nominativi di persone fisiche e società che avevano residenza presso il Consolato della Repubblica di San Marino a Rimini. A caccia di grandi evasori sta spulciando l’elenco di tutti gli italiani residenti a San Marino. San Marino Fixing ha voluto toccare con mano gli umori degli imprenditori del Paese, capire come vivono dall’interno delle loro aziende questa infinita crisi di transizione, che indicazioni danno, quali analisi fanno di una situazione che esige una risoluzione rapidissima.
La Passepartout, azienda leader nel proprio settore, quello dei software gestionali, potrebbe abbandonare il Titano: una minaccia concreta che viene paventata da Barbara Reffi, Amministratore Delegato di Passepartout. “In questo momento noi aziende sammarinesi dipendiamo totalmente da ciò che apparirà sulla famosa lista nera italiana. Siamo realisti, sappiamo che per il momento ci siamo, speriamo di essere tolti. Ma temiamo che a questo punto il Ministro Tremonti non si accontenti delle promesse e voglia vedere i fatti oltre le parole. E noi a questo punto cosa possiamo fare? Aspettare e vedere cosa succede il 21 aprile. Dopo di che, se non ci saranno sorprese positive, non ci resterà altro che fare le valige e andarcene”.
Una visione pessimista del futuro.
“Pessimista? Io direi ottimista piuttosto, perché qui c’è gente pronta a rimboccarsi le maniche e a ricominciare da capo, altrove. Io non posso pensare che Passepartout venga affondata in questa maniera. Noi lavoriamo con l’Italia, la soluzione più logica è quella di andare via, spostarsi dove ci sono condizioni opportune”.
Una boutade o un’ipotesi che state valutando concretamente?
“Aspettiamo di sapere se San Marino sarà inserito in black list, ma noi ci siamo già preparati, siamo pronti a trasferire l’azienda in Italia. Perché se è vero che oltre confine c’è una pressione fiscale maggiore, è anche vero che per pagare le tasse bisogna fare utili, e la cosa non è più così scontata, purtroppo, qui a San Marino. E poi così risolverei anche altri problemi”.
A cosa si riferisce?
“In Italia il costo del lavoro sarà inferiore, e poi potremmo finalmente assumere specialisti senza passare dalla ‘tagliola’. Perché sa, i nostri impiegati sono laureati, e assumere frontalieri laureati è tutt’altro che facile, a San Marino. E così ci troviamo ingessati e in difficoltà ad operare. Non voglio ragionare su chi ha la responsabilità di tutto questo, purtroppo però oggi chi ci rimette è chi rappresenta l’economia reale”.
Simona Michelotti, amministratore unico del gruppo Sit, Presidente della Camera di Commercio, nelle scorse settimane già aveva “esternato”, facendo arrabbiare qualcuno. “La situazione da allora non è cambiata, e confermo tutto quanto ho detto finora. Stiamo attraversando un momento così difficile che ci si dovrebbe toccare l’animo tra imprenditori e politici, avremmo tutti bisogno di sentirci uniti e invece ci sembra di venire respinti. Alla politica chiediamo di dirci qualcosa per farci sentire tranquilli: in fondo stiamo parlando del futuro del nostro Paese, e non possiamo venire ‘sgridati’ se esprimiamo un sentimento di paura concreta, reale”.
In questa fase c’è anche chi ipotizza di fare le valigie e andarsene.
“Per un italiano è principalmente una questione d’affari: uno al massimo fa i suoi conti e se ne torna a casa, per noi imprenditori sammarinesi invece è anche un discorso di cuore. Ma io penso che gli imprenditori italiani arrivati a San Marino e rimasti qui ad operare finora, se sono stati attirati dalla bassa fiscalità, hanno però anche dimostrato finora di essere grandi imprenditori. Quindi al momento di decidere cosa fare ci penseranno bene, e poi non possono non soffrire come noi per questa situazione. Malgrado tutto però io credo che per le persone serie ci sarà sicuramente la possibilità di continuare, e la giustizia, alla fine, sarà ristabilita”.
Non fa sconti a nessuno invece Piero Tonelli, imprenditore storico di San Marino nel settore del legno. “Questa situazione è frutto del malgoverno e della cattiva politica da parte di tutti, imprenditori, governo, associazioni, istituzioni. Abbiamo sbagliato tutti. La politica ha sbagliato nel non voler aprire in tempo gli occhi. E anche noi imprenditori abbiamo pensato soltanto ai nostri interessi. E adesso questo è il risultato di errori comuni. So che commercialisti italiani fanno girare circolari dove si dice ‘non lavorate con San Marino’. Questo è proprio terrorismo. E i nostri concorrenti di fronte a una situazione del genere, ‘ciurlano nel manico’, come si suol dire”.
“Il problema non è piccolo, è grandissimo. La mia azienda paradossalmente è una delle peggio posizionate. Operando completamente in regola, sono e sarò uno di quelli che soffrirà di più. Chi truffa, si sposta da San Marino e se ne va da un’altra parte. Noi, invece non possiamo mettere le ruote sotto le nostre fabbriche”. “Credo che da oggi in avanti ci saranno brutte conseguenze, anche se sino ad ora i rapporti con l’Italia non hanno influenzato direttamente il nostro fatturato. Il quale può essere stato nei mesi passati influenzato invece dalla crisi o dalla nostra capacità di stare o non stare nel modo migliore sul mercato”. “Ma io non sono pessimista, sono un ottimista di natura, però a questo punto dico che bisogna aprire gli occhi: non possiamo permetterci assolutamente di andare nella black list. E se non entriamo nella black list dobbiamo cambiare rotta definitivamente. Dobbiamo finirla di permettere ai sammarinesi e non sammarinesi di fare qui le cose che l’Italia non vuole. Abbiamo fatto una legge sulla società anonime che ha meritato tutte le reprimende dell’Italia. Sul versante delle licenze, alcune sono state tolte, e poi si sono date al fratello, alla moglie, al nipote. Non si può far così. San Marino deve darsi una regolata. Se la politica vuol vivere di queste cose, se vuole fare il Paese off shore, ce lo dicano chiaramente: andate via perché vogliamo solo fare il contrabbando ”.
Il presidente Enzo Donald Mularoni CEO del Gruppo del Conca, mette in evidenza tutte le difficoltà di un’impresa che opera sia in Italia che in Repubblica: “Il Gruppo Del Conca sta vivendo non poche difficoltà: l’autorità italiana è piuttosto diffidente verso le strutture che lavorano in due Stati, come nel nostro caso. Noi abbiamo sempre spiegato che la nostra attività si svolge alla luce del sole: nonostante le numerose verifiche, siamo sempre riusciti a far vedere la nostra correttezza. La minaccia black list? Il nostro export si dirige verso l’Italia per circa 70%, quindi la preoccupazione è viva. Sappiamo che l’obbligo di fare una serie di dichiarazioni periodiche al-l’Agenzia delle Entrate è un forte deterrente per la clientela italiana, che sta maturando la percezione che ‘lavorare con la Repubblica non piace al fisco’, con le conseguenti ricadute per le nostre imprese. Il decreto è uno strumento che danneggia le aziende serie. E’, credo, un elemento di persuasione contro San Marino”.
Roberto Renzi, direttore generale della Tecnoplay, azienda leader nel settore dei videogame e apparecchiature elettroniche di intrattenimento, non elude la critica dura a quello che sta accadendo.
“Non siamo in ritardo, di più. Intempestivi rispetto alle questioni che ci ha posto il governo italiano. Non abbiamo preso il toro per le corna quando è stato il momento. Non abbiamo saputo arginare questa situazione e non abbiamo saputo vedere realtà macroscopiche. Si vedeva lontano un miglio quelli che facevano impresa vera da quelli che facevano pseudo impresa. Ma adesso dobbiamo guardare in avanti, siamo imprenditori, dobbiamo creare i presupposti per far bene nel nostro futuro su basi vere, reali. Risolvere i problemi primari a partire dall’accordo con l’Italia per poi affrontare tutti gli altri. Senza mettere troppa carne al fuoco. Adesso sentiamo parlare di riforme fiscale, tributarie, doppio regime iva, che può anche starci, ma nell’ottica del riequilibrio dei rapporti con l’Italia per ottenere la firma di questo accordo. Buone le proposte dell’Associazione Industriali, compresa quella sull’anonimato, perché non abbiamo niente da nascondere. E chi non ha niente da nascondere può dire con determinazione quello che pensa ”.
“Anche la storia del decreto incentivi – sottolinea Renzi – porterà al fatto che i danni maggiori li avremo nei rapporti economici più importanti, cioè con le imprese più strutturate che posseggono un’organizzazione interna che si occupa della fiscalità. La quale, certamente porterà all’attenzione del proprio consiglio di amministrazione tutte le difficoltà, i rischi che provengono da tutti questi controlli, soprattutto per l’enorme perdita di tempo, più che per un possibile reato. Se un’azienda è in regola non deve aver paura dell’Agenzia delle Entrate o di Tremonti”.
“L’inserimento della black list potrà comportare difficoltà di fatturato e di approvvigionamenti. Le conseguenze negative ci saranno sia sugli acquisti che sulle vendite. Soprattutto sulle piccole forniture, le specialistiche, quelle di nicchia. Un’azienda italiana che deve fornire materiale per diecimila euro all’anno ad un’impresa sammarinese ci penserà prima due volte. O eviterà di farlo. O dovrà trovare altre strade. E quindi diventerà anti economico”. “In questo clima negli ultimi mesi – conclude Roberto Renzi – il fatturato è calato sensibilmente. Questo primo trimestre non è andato bene. Dobbiamo renderci conto sino in fondo di quello che sta accadendo. Molte volte ho la sensazione che non ci sia questa profonda consapevolezza della gravità del momento ”.
Michele Gualandi, amministratore delegato della LCS, azienda di punta del settore chimico manifesta anche lui tutte le sue preoccupazioni sul possibile inserimento nella black list: “Credo che in questo momento la priorità sia quella di scongiurare l’entrata di San Marino nella black list: la ‘lista nera’ implicherebbe una serie di difficoltà operative. Aggiungere incertezza ad un periodo di incertezza nuocerebbe alle imprese del territorio: occorre sicuramente partire dall’accordo contro le doppie imposizioni fiscali, che deve essere siglato in maniera chiara e definitiva. Al momento LCS non sta subendo le difficoltà tra i due Paesi, ma è necessario, ripeto, evitare di finire nella black list perché potrebbe avere ripercussioni preoccupanti”.
Franco Razeto, consigliere delegato delle Manifatture San Marino mette in rilievo problemi non solo italiani: “Le difficoltà ci sono, ma in generale e non solo con l’Italia. Da qualche tempo abbiamo un contenzioso aperto con la Polonia. Ad ogni modo, con il recente decreto italiano, le problematiche non sono affatto diminuite: ora bisognerà capire cosa succederà con i nostri fornitori, e con le persone che lavorano alla dogana. Chiaramente la scelta italiana di inserire la Repubblica di San Marino nella black list è penalizzante. Negli ultimi tempi per noi il vento non è cambiato più di tanto: in Italia abbiamo una serie di confezionisti che devono ancora recepire le formalità per lavorare con Manifatture San Marino. Al momento gli operatori sono sufficientemente tranquilli.