Altro che "contagio", la crisi greca ha rafforzato l’immagine e la posizione italiana. Lo ha detto anche il presidente della commissione europea Barroso. Roma è il terzo finanziatore del prestito alla Grecia, tramite bond speciali. E nella ridisegnata geografia economica europea, l’Italia ha guadagnato parecchi punti. Di Lou Nissart.
di Lou Nissart
Che cos’hanno in comune l’Italia e la Grecia? Beh, per entrambe la maggior parte del territorio è costituita da una penisola bagnata dal Mediterraneo, entrambe hanno una capitale illustre da un paio di millenni e più ed entrambe, infine, hanno un debito pubblico superiore al pil. Le somiglianze però finiscono più o meno lì. La recente crisi greca, lungi dal mettere in cattiva luce l’Italia per un problema di “contagio”, ne ha al contrario rafforzato l’immagine, al punto che il presidente della Commissione europea, José Manuel Durao Barroso (nella foto), che ha detto che "l’economia italiana è solida e forte", anche se "nell’affrontare la crisi, come per altri Paesi, è necessario uno sforzo sui conti pubblici. L’Italia, come altri Paesi, deve fare uno sforzo e mantenere la disciplina: a nostro giudizio l’economia italiana è solida. Tutti i Paesi europei hanno, in questo momento, difficoltà nei conti pubblici".
Barroso ha preso atto, esagerando un po’, di una situazione reale: sia pure a costo di una crescita minore rispetto agli altri Paesi, in Italia non si è accelerato il deterioramento dei conti pubblici. Il governo italiano, aveva affermato Tremonti venerdì scorso, "non ha potuto e non ha voluto" creare ulteriore debito pubblico. "Governare facendo debito è più facile che governare avendo un debito pubblico alto e avendo deciso di non fare debito. Il debito pubblico divora il futuro. Abbiamo invertito la tendenza, la velocità di crescita del deficit è minore rispetto all’Europa". Sarebbe però difficile "essere i primi sul pil se si è primi sul debito".
Il prezzo, come ha ricordato di recente la Banca d’Italia in un Occasional Paper, è stato l’arretramento economico. La recessione mondiale innescata dalla crisi finanziaria, dice il paper, "si è ripercossa con straordinaria violenza sull’economia italiana" cui "è costata 6,5 punti percentuali di crescita del pil" nel triennio 2008-2010. "In particolare, i fattori di crisi hanno gravato per quasi 10 punti percentuali prevalentemente nel 2009", mentre "le politiche economiche e gli stabilizzatori automatici ne avrebbero mitigato l’impatto per circa 3,5 punti percentuali".
Proprio la situazione greca ha permesso ai media europei di rendersi conto della situazione. L’Italia infatti ha partecipato all’europrestito per il salvataggio della Grecia con un contributo che potrebbe arrivare a 5,5 miliardi di euro. (NB. Questa non è una cifra ufficiale ma una semplice stima, calcolata in base alle quote dei vari Paesi nel capitale della Bce con l’esclusione dei Paesi non-euro e della Grecia.) La strada scelta dal governo italiano per finanziare il prestito è quella dell’emissione di bond speciali.
Dopo la Germania, con circa 8,4 miliardi, e la Francia con 6 miliardi, l’Italia è dunque il terzo Paese finanziatore dell’operazione, seguita dalla Spagna con 3,7 miliardi di euro. L’aiuto ad Atene ha come effetto indiretto, positivo per l’Italia, la riduzione degli spread sul debito tedesco per tutta l’Eurozona. A detta degli analisti, infatti, la crisi ha mutato la “geografia” europea, sistemando l’Italia su posizioni più solide, insieme con la Francia e a ridosso della Germania. "Il rischio di contagio", ha commentato l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, "si è drasticamente ridotto". L’Italia si è presa anche i complimenti di Jean-Claude Trichet, presidente della Banca Centrale Europea: essa "ha mostrato una certa resistenza in questo difficile periodo. In particolare è stata capace di contenere il deficit pubblico annuo e si è impegnata a tornare a una situazione sostenibile secondo le regole europee".
Negli ultimi mesi, anche diversi indicatori economici hanno dato segni di miglioramento. Ieri è stato il turno della produzione industriale, che a febbraio ha segnato un aumento del 2,7% su base annua. Si tratta del primo rialzo tendenziale del dato grezzo dal luglio 2008. La ripresa sembra confermata anche dal leading indicator dell’Ocse, che sale ancora, e dal tasso di disoccupazione fermo all’8,5%, un dato sensibilmente migliore di quello della maggior parte degli altri Paesi europei. Su queste cifre positive si staglia però il problema irrisolto della finanza pubblica: non basta infatti che non peggiori, bisogna anche che inizi a migliorare, tanto più che a livello europeo la ripresa dell’inflazione in Germania preannuncia la fine del periodo dei bassi tassi d’interesse. Il debito pubblico italiano in effetti peggiora, anche se non con la velocità di altri Paesi: a febbraio ha toccato quota 1,795 miliardi di euro, contro gli 1,788 miliardi di gennaio (dati diffusi da Bankitalia all’interno del supplemento al Bollettino statistico dedicato alla finanza pubblica). Il Bollettino rileva anche il calo delle entrate tributarie nel primo bimestre dell’anno: nel periodo gennaio-febbraio 2010 sono infatti arrivate a quota 53,5 miliardi di euro, in calo rispetto ai 54,9 miliardi registrati per lo stesso bimestre lo scorso anno. Con una situazione del genere, la ripresa appare pur sempre qualcosa di molto fragile.