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La crisi greca si aggrava L’Europa sta a guardare

da Redazione

La crisi greca si aggrava, e l’Europa sta a guardare. Se nella sua epica battaglia sui mercati finanziari per qualche miliardo in più il primo ministro ellenico Iòrghos Papandréu venisse sconfitto, la sconfitta sarebbe pagata da buona parte dell’Europa. Di Lou Nissart.

di Lou Nissart

 

«Cantami, o Diva, dei debiti ellenici l’irta foresta, che infiniti addusse soldi agli hedge!» Se Vincenzo Monti buonanima vivesse nel nostro secolo e di poetare di cose greche avesse voglia oggi, e non a cavallo del’anno 1800, non si fisserebbe sull’Iliade. Infatti c’è molta più tensione epica nella strenua lotta che il primo ministro Iórghos Papandréu sta combattendo sui mercati finanziari per farsi dare qualche miliarduzzo di euro. Purtroppo, se subirà una sconfitta sarà buona parte dell’Europa a pagarla, e sicuramente l’Unione Europea, e ancora più sicuramente l’Eurozona: che con la Grecia condivide una certa graziosa moneta bicolore che ultimamente si scambia con il dollaro a 1 per 1,33, tale e quale undici mesi fa, dopo aver fatto un bel po’ di su e giù e negli ultimi tempi sopra tutto di giù.

I suddetti ultimi tempi sono stati tempi interessanti (nel senso dell’antica maledizione ebraica). La Grecia si è presentata di nuovo sui mercati finanziari, pochi giorni dopo l’ultima volta, per raccogliere 5 miliardi di euro di titoli settennali. L’interesse che ha spuntato è stato del 5,9%, un tasso piuttosto alto, anche se meno del 6,3% a cui era stato collocato il decennale (il che è normale, vista la scadenza più breve). Il cruciale differenziale di rendimento tra il decennale greco e il bund tedesco con la medesima scadenza ha raggiunto 453 punti base, il livello più alto dall’introduzione della moneta unica in poi. E salgono anche le quotazioni dei credit default swap: quelli che permettono di assicurarsi per cinque anni contro il rischio di insolvenza del Paese trattano ormai a 450 punti.

Sono spie di un profondo malessere dei mercati, alimentato da paure e incertezze. È stato veramente il 12,7% del pil il deficit pubblico greco del 2009, oppure il vero disavanzo è ancora più mostruoso, fra il 13,5 e il 14,3%? Il ministro delle Finanze Iórghos Papakonstantìnu ha già rivisto la cifra al 12,9%, a causa della recessione più grave del previsto. Il 22 aprile sarà Eurostat ad annunciare la cifra accettata. Fino ad allora, ciascuno è libero di avere freddo ai piedi quanto vuole. E tale metaforico algor podico influisce sulla possibilità di raccogliere i 54 miliardi di cui Atene ha bisogno quest’anno per finanziare il deficit e rifinanziare il debito in essere, 300 miliardi di euro, il 113% per cento del pil.

Chi glieli darà questi soldi, ai greci, e a quali condizioni? Senza parere, la Banca centrale europea ha somministrato una boccata di ossigeno con l’abbassare i requisiti per i titoli che le banche possono darle in deposito per ottenere in cambio i preziosi dingding: quand’anche la Grecia subisse una nuova degradazione del suo rating, i titoli pubblici ellenici andrebbero ancora bene e le banche greche avrebbero la liquidità per concedere prestiti all’economia.

In settimana è sbarcata ad Atene la delegazione del Fmi, il quale potrebbe concedere un prestito di 3,3 miliardi di euro ad un tasso dell’1,25%, più due volte tanto al 3,25. A questo si aggiungerebbero 20 miliardi dell’Unione Europea, sui quali però infuria la battaglia tra la Germania, che pretende un interesse alto, il 6-6,5%, e gli altri Paesi, con in testa la Francia, che si acconterebbero di un 4-4,5%. Un tasso d’interesse vicino a quelli di mercato, molto alti, potrebbe vanificare gli sforzi della Grecia per introdurre un regime d’austerità, rendendolo troppo gravoso per la popolazione. Il risultato potrebbe benissimo essere il default dello Stato greco, con un enorme smacco per la zona euro. In questo caso, poi, la Germania stessa potrebbe assistere al fallimento di qualche sua grossa banca, visto che molte delle grandi banche tedesche hanno in portafoglio del dhimósio khréos. L’espressione sembra una bestemmia e ultimamente funziona spesso come tale, ma vuol dire "debito pubblico" in greco.

Ad aggravare la situazione è venuta una fuga dei capitali, sebbene per ora sia solo all’inizio. La Tràpeza tis Ellàdhos (la banca centrale) ha comunicato che rispetto al dicembre 2009 sono stati ritirati dalle banche elleniche fondi per 10 miliardi di euro, il 4,5% del totale dei depositi. Dove sono finiti? Nelle banche offshore, sopra tutto svizzere e britanniche. I proprietari dei soldi avevano paura di un crac delle banche greche e/o delle misure antievasione e antiriciclaggio messe in campo dal governo socialista di Atene.

Anche se la Grecia riuscisse a raccogliere i soldi che le servono, i funzionari della Ue temono che la situazione peggiori nel 2011 e 2012 a causa del calo produttivo. Tutti gli speculatori del mondo stanno tarellando di brutto la Grecia per vedere se i piani di aiuto dell’Unione Europea sono nobili lìlleri (con cui si làllera) o insulse chiacchiere con cui non si fa gran che. La speculazione propende per la seconda ipotesi. Come spesso succede, la profezia rischia di autorealizzarsi: neanche un Paese solido potrebbe resistere a lungo senza aiuti all’attacco combinato degli hedge fund e dei ribassisti assortiti del mondo finanziario. Cadrebbe. E con la Grecia, quasi a questo siamo, oggi.
 

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