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Fiat scorpora l’auto e la fonde con Chrysler

da Redazione

PRIMA NOTA / Presto sul mercato yankee arriverà la Fiat 500, con consumi da accendino. In cambio della tecnologia e del know how al gruppo torinese il 20% della casa USA.

di Paolo Brera

 

Si era parlato di qualcosa di simile sette anni fa, quando pareva proprio che per la Fiat non ci fosse scampo se non tra le amorevoli braccia di General Motors. Si diceva: a staccare dal gruppo la FiatAuto, cedendola agli americani, il resto dell’impero se la cava addirittura meglio. Poi le cose si sa sono andate in modo ben diverso, anche per General Motors. Se oggi si torna a discorrere di spiccar via il comparto autovetture per metterlo insieme a un gruppo americano, comunque, la valenza dell’operazione è ben diversa. L’amministratore delegato Sergio Marchionne, detto Maglionne, l’ha confermato: “Spinoff dell’auto? È un tormentone, ne parleremo il 21 aprile quando presenteremo il piano di sviluppo del gruppo”, ha detto al Salone di Ginevra. La proposta quindi è davvero sul tavolo. Il gruppo americano candidato alla fusione, naturalmente, è la Chrysler. Che si sta tirando su alla grande, anche se nel 2009 è stata, in termini di fatturato, il gruppo che è andato peggio fra i grandi costruttori americani: il fatturato è sceso del 36% contro 30% per General Motors e 15% per Ford. I motivi strutturali (inadeguatezza dei modelli) si sono sommati a quelli occasionali (la gente aveva paura di comprare da una casa la cui possibile chiusura avrebbe reso problematico il servizio dopovendita). Ma adesso la ripresa è in pieno decollo, e le prospettive stanno migliorando a vista d’occhio. Presto sul mercato americano arriverà la Fiat500, una specie di gioiellino che rispetto agli usi e costumi degli Stati Uniti è mezza auto al prezzo di un quarto e con consumi da accendino. Altri modelli Fiat saranno messi in vendita con il marchio Chrysler. Tutto come risultato dell’accordo per cui Fiat, in cambio della tecnologia e del knowhow manageriale, si è presa il 20 per cento della casa americana, con un’opzione per acquisirne il controllo vero e proprio. Chrysler ha fatto una dieta dimagrante, ma non è tutto qui. Quello che sta funzionando bene, secondo Lonnie Miller, direttore dell’analisi di settore presso R. L. Polk & Co, è proprio il management: “Sembra che ci sia una vera ed efficace disciplina nel produrre i risultati”, dice Miller. “Stanno dandoci dentro per generare miglioramenti operativi, e stanno prendendosi il tempo necessario per assicurarsi che quando metteranno fuori la 500 con il design Fiat e il marchio e il power train, la cosa sia fatta nel modo giusto”. Maglionne comunque ha detto che mentre la storia della Chrysler è chiara, “non è chiaro il livello di interfaccia fra Chrysler e Fiat… non è chiaro dal lato di Fiat. Dobbiamo essere in grado di fare il collegamento per dissipare l’ambiguità”. L’occasione sarà la presentazione il mese prossimo del primo modello sviluppato insieme a Chrysler, che utilizza la piattaforma utilitaria della Giulietta. Oltre alle autovetture, il gruppo Fiat produce anche autocarri (con il marchio Iveco) e macchine per il movimento terra, attraverso Case New Holland. In più c’è una produzione di componenti. Le sinergie con camion e trattori non sono formidabili, l’eventuale distacco non complicherebbe le cose. Anche il settore lusso-prestigio-sboroni, composto da Ferrari e Maserati, si presta a essere gestito in modo del tutto indipendente. Tutto il resto potrebbe essere scorporato. Le banche d’affari attribuiscono a FiatAuto una valutazione tra 3,5 e 5 miliardi di euro. A questi si potrebbero aggiungere fino a 2 miliardi per i motori di Fiat Powertrain. La Fiat ha venduto 2,15 milioni di autovetture nel 2009 (-2,4%), per più di metà in Europa occidentale. Il 2010, “un anno complicato” nelle parole di Maglionne, vedrà la fine degli incentivi europei e dunque una più che probabile contrazione delle vendite. Ma la ripresa americana, l’avvio della produzione della 500 nell’impianto messicano di Chrysler, l’accordo con i russi di Sollers, con i serbi di Zastava e con Tata in India dovrebbero cambiare la focalizzazione e aprire nuovi mercati. Resteranno da gestire i soliti problemi di ogni ristrutturazione. Chiudere fabbriche, come quella di Termini Imerese, non è buona pubblicità. Marchionne l’ha capito e alla fine ha aggiustato il tiro, dicendo che per Termini Fiat è pronta a investire qualcosa in un progetto esterno, purché gliene venga presentato uno. I sindacati annunciano scioperi. Ma con l’interessamento di uomini d’affari esterni, l’intervento delle autorità e quel tanto di buona volontà da parte del Lingotto che è stato già annunciato, una soluzione accettabile per i lavoratori siciliani non potrà non saltare fuori. Qui la sensibilità sociale europea di Maglionne è decisamente un asset. Il metodo hire&fire non va più bene nemmeno in America, dove infatti non è stato applicato né per la Chrysler né per le altre case in difficoltà: è intervenuto il governo federale, e non solo quello americano ma anche quello canadese. In Europa, una mancanza di attenzione per gli aspetti sociali dell’attività economica sarebbe disastrosa.

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