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Annus horribilis per l’Italia

da Redazione

Che anno, il 2009, per l’economia italiana! Se non l’avesse già fatto la regina Elisabetta, bisognerebbe coniare l’espressione latina “annus horribilis” per descriverlo.

L’Istat infatti ha certificato che nello scorso anno il prodotto interno lordo italiano è crollato del 5%, il dato peggiore dal 1971. E non è solo questione di Pil. I consumi sono scesi del-l’1,2%, gli investimenti fissi sono crollati (-12,1%). La posizione del settore pubblico è nettamente peggiorata. L’occupazione è scesa e la disoccupazione è salita. E anche il futuro si preannuncia fosco, perché le misure temporanee non potranno protrarsi all’infinito e il sistema produttivo appare seriamente colpito nelle sue stesse strutture portanti. Tra gennaio 2009 e gennaio 2010 l’economia ha bruciato 307.000 posti di lavoro. Per il quarto mese consecutivo il numero dei disoccupati si è mantenuto al di sopra della soglia di due milioni, e rispetto a dicembre è salito di 5.000 unità. Il tasso di disoccupazione in gennaio è ancora cresciuto, sia pure non di molto, portandosi all’8,6%, il livello più alto da almeno sei anni. Queste cifre augurano male per la situazione economica di quest’anno. Se in qualche modo i consumi hanno tenuto, sorreggendo l’intera economia, è stato grazie agli stabilizzatori sociali messi in campo dal governo. Ma il sostegno ai redditi ha un limite. E quello attuato finora è già costato molto caro al settore pubblico. Le entrate totali dello Stato, pari al 47,2% del Pil, sono diminuite dell’1,9% rispetto all’anno precedente (erano cresciute dell’1,1 per cento nel 2008): l’introito straordinario derivante dallo scudo fiscale è stato di 5 miliardi di euro – una goccia nell’oceano. Le uscite totali sono risultate pari al 52,5% del Pil (49,4 per cento nel 2008), con una crescita del 3,1% rispetto all’anno precedente. Se le entrate diminuiscono e le uscite aumentano, il deficit si allarga. L’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, espresso in percentuale del Pil, è stato il 5,3%, superiore a quello registrato nell’anno precedente, pari al 2,7%. In valore assoluto l’indebitamento netto è aumentato di circa 38,2 miliardi di euro, attestandosi sul livello di 80,8 miliardi. Il saldo primario (deficit al netto della spesa per interessi) è risultato negativo e pari allo 0,6% del pil, inferiore di oltre 3 punti rispetto al livello positivo raggiunto nel 2008 (2,5 per cento). La pressione fiscale complessiva è salita al 43,2%, un livello che per la prima volta pone lo Stato italiano al di sopra per esosità di quello francese – con l’aggravante che le pretese del Fisco si accompagnano a una distribuzione molto più sperequata dell’imposizione, in cui chi non può o non vuole evadere è costretto a rinunciare alla maggior parte del suo reddito. Sebbene l’ampliarsi del deficit sia stato molto inferiore a quello registrato in Paesi come la Gran Bretagna, la Spagna o la Francia, la possibilità di finanziarlo è un tema molto delicato per l’Italia, il cui debito pubblico è volato a quota 115,8% del Pil – un dato, nell’Unione Europea, migliore solo di quello greco. Il calo del 5% del Pil italiano si confronta con il -2,2% della Francia, il -2,4% degli Usa e il -5% della Germania, Regno Unito e Giappone. In Italia, la diminuzione incorpora un calo del 14,5% dell’import di beni e servizi, una contrazione dell’1,2% dei consumi finali nazionali (-1,8% la spesa delle famiglie residenti, +0,6% la spesa delle amministrazioni pubbliche, +1,1% le istituzioni sociali private). La caduta degli investimenti fissi lordi ha riguardato tutti i beni capitali: macchinari e attrezzature (-18,4%), costruzioni (-7,9%), mezzi di trasporto (-15,2%) e beni immateriali (-5,4%). Le esportazioni di beni e servizi sono scese del 19,1%. “Un dato largamente annunciato che conferma la gravità della fase recessiva che ha colpito il nostro Paese nell’ultimo anno e mezzo” è stato il commento dell’Ufficio Studi Confcommercio alle cifre diffuse dall’Istat. “Va sottolineato però – prosegue la nota dei commercianti – come in questo contesto i consumi delle famiglie… abbiano mostrato un profilo meno negativo impedendo che il nostro sistema subisse una recessione ancora più pesante. Rimane comunque forte la preoccupazione per la caduta dell’occupazione, alla luce dei dati di gennaio, che potrebbe indebolire i timidi e fragili segnali di ripresa rallentando ulteriormente la fase di uscita dalla recessione”. Quale rilancio per l’economia italiana? L’unico elemento di ottimismo è la ripresa delle esportazioni. L’inflazione, salita in gennaio dell’1,3% su base annua, e l’aumento dei prezzi alla produzione dello 0,6% rispetto al mese prima, si uniscono a un deterioramento del clima delle aspettative: la fiducia dei consumatori italiani è ancora in calo a febbraio, con l’indice misurato dall’Isae che è sceso a 107,7 da 111,6, in prossimità dei valori del luglio scorso. Parafrasando il Marcantonio di Shakespeare, potremmo dire che la ripresa “dovrebbe essere fatta di sostanza più resistente”.

Paolo Brera / Lou Nissart

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