“E’ il settore più innovativo, più reattivo e veloce perché il suo anno è di soli sei mesi”. I freni? La politica, la burocrazia e il fisco: chi paga le tasse viene massacrato.
Rinascimento. Risorgimento. Ma quello che vuole per l’Italia Santo Versace, fratello del celebre stilista morto qualche anno fa, ancora non ce l’ha, un nome. Dato il settore di provenienza si potrebbe magari prendere il titolo della poesia “Valentino vestito di nuovo”… ma è riduttivo, e poi Valentino è un marchio registrato, non si può fare. Rinascita? Era il nome di una rivista comunista. Born-again Italy? Non piacerebbe al Vaticano, per i suoi sottotoni protestanti. Ma che insomma per lui si debba trattare di una riscossa, una ripresa e una rivincita, questo è più che mai chiaro. Ho intervistato Versace a Milano ai margini di un incontro in cui presentava un libro (pubblicato da Skira) della Fondazione Altagamma da lui presieduta: Bella e possibile. Memorandum sull’Italia da comunicare. Mi ha subito bloccato sulle domande “aziendali”: come sta andando la Gianni Versace SpA? “Non ne parlo. Chiedi all’amministratore delegato. Io sono il presidente e basta”. Non è stato sempre così. Lui, Santo, era il pilastro commerciale e organizzativo dietro il celebre design del fratello Gianni. Una carriera di manager passata attraverso una laurea in economia e commercio, un impiego in banca, la libera professione del commercialista e la ferma da ufficiale di complemento nel Genova Cavalleria. Proprio lui, calabrese, che chiarisce subito: “Sono un terronaccio e lo rivendico. Sono prima di tutto un greco, perché Reggio Calabria era parte della Magna Grecia. Poi un calabrese, un italiano e un europeo.” Più tardi mi dirà che uno dei problemi dell’Italia è proprio il ricambio della generazione degli imprenditori. La struttura familiare, nell’economia italiana, è un elemento di forza, ma non basta quando le dimensioni dell’impresa devono essere tali da permetterle di competere sul mercato globale. Da due anni Versace ha di fatto abbandonato l’azienda e si è buttato a capofitto nella politica, oltre che in due Fondazioni, Altagamma e Operation Smile (quest’ultima si occupa di operare, in cinquantun Paesi del mondo, i bambini che nascono con gravi malformazioni al viso). Occupa un seggio nel Parlamento di Roma. Ma non sembra davvero allineato e coperto con il partito che l’ha eletto, il Polo delle Libertà. Ha idee sue e molta energia per cercare di metterle in pratica. L’Italia, dice Versace, ha punti di forza straordinari: la competenza dei suoi artigiani e dei suoi tecnici, il talento creativo. Ma ha anche tre grandi handicap: la politica (200.000 persone che vivono di quella senza produrre niente se non problemi per i cittadini); la burocrazia, che fa più danni della criminalità organizzata; e il fisco, “perché chi le tasse le paga davvero viene massacrato.” Il libro di Altagamma vuole definire l’immagine dell’Italia da comunicare, con i suoi punti di forza da mettere in luce e quelli di debolezza, da conoscere e riconoscere ma anche da mettere per quanto possibile in ombra. Messaggio aggiuntivo, but not least: chi si occupa di immagine deve aver chiaro che la comunicazione ha sempre un riscontro nella realtà. Gli aspetti negativi della realtà sottostante all’immagine non devono solo essere minimizzati quando la si comunica, devono anche essere tolti di mezzo nella pratica. Il che, ovviamente, non è facile come dirlo. Il libro, scritto da una mezza dozzina di illustri studiosi, si limita a indicare che cosa fare nel campo della comunicazione, anche con ricette pratiche.
Perché l’Italia è diventata leader nel settore della moda?
“La vera domanda è: come mai così tardi? Avevamo artigiani bravissimi, avevamo il talento creativo. Li avevamo da secoli. Ci voleva però la fine della guerra con la ripresa dell’economia e la democrazia perché questi asset potessero dispiegare i loro effetti.”
E la crisi?
“Crisi? Io dico che è la più grande truffa della storia. Alcune migliaia di persone ai vertici della finanza si sono arricchite sul nulla e hanno impoverito il resto dell’umanità”.
Però, il sistema moda?
“Quello regge bene. È il settore più innovativo, più reattivo e più veloce, perché il suo anno è di soli sei mesi. La crisi riguarda tutti, ma le aziende della moda sono in ristrutturazione permanente. Se entrano in crisi, può essere solo perché entra in crisi la proprietà: l’azienda in sé è sempre sana. Certo bisogna mantenere l’equilibrio finanziario, non bisogna mai fare il passo più lungo della gamba. E l’imprenditore deve capire quando è giunto il momento di ritirarsi, quando bisogna passare la mano ai tecnici e agli specialisti che sanno stare su un mercato globale.”
Perché questo libro?
“Perché noi di Altagamma vogliamo stimolare il Paese e gli italiani ad essere orgogliosi di sé stessi e a saperlo comunicare”.
Non è poco. Versace mi elenca le imprese del settore della moda che trent’anni fa non c’erano e adesso sono nomi di livello mondiale. Sono state create da gente che veniva da tutte le parti della Penisola, anche se si sono fissate sopra tutto a Milano. Corrispondono a un modello di eccellenza che bisogna valorizzare. Lui, il “terronaccio”, la sua parte la sta facendo.
Paolo Brera