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La Fondazione Fellini frustata e frustrata

da Redazione

La recente crisi economica dell’Ente rinnova il complicato rapporto tra il Maestro, la sua famiglia e Rimini. Gianfranco Angelucci: “Autolesionismo”. La sorella affermava: “A Federico non gli hanno mai voluto bene”.

“Federico Fellini è andato via molto presto da Rimini e la sua carriera l’ha costruita a Roma, e in più sua mamma Ida era romana, dunque romano e romagnolo. Rimini era la città della memoria, dell’adolescenza”. Gianfranco Angelucci, amico e collaboratore di Fellini, scrittore, sceneggiatore, regista, ex direttore della Fondazione Fellini, cerca di analizzare il rapporto tormentato che Rimini continua ad avere con il regista che l’ha resa famosa in tutto il mondo. La crisi economica della Fondazione Fellini sembra solo l’ultimo atto di una storia che non si è mai ricomposta sino in fondo. Anche le recenti dimissioni irrevocabili della nipote Francesca dalla Fondazione, testimoniano di un rapporto della famiglia con la città, complicato, molto complicato. “La distanza si era creata di fatto. In una scena dei ‘Vitelloni’ – sottolinea Angelucci – un personaggio alla domanda, ‘Perché vai a Roma, cosa c’è a Roma ?‘, non sa rispondere. Ma tornava spesso a Rimini, in privato, a trovare Titta Benzi, sua madre, la sorella. I riminesi non gli hanno forse perdonato che non abbia girato un metro di pellicola a Rimini quando nei suoi film ha parlato della città dove è nato. Ha sempre ricreato una Rimini della fantasia a Cinecittà, Ostia, Viterbo, vicino a Roma. Anche il dialetto riminese era di fantasia. Ma Fellini non aveva niente contro Rimini. Quando Federico si ammalò gravemente, nessuno di noi sospettava minimamente che non sarebbe tornato a Roma. Invece lui venne a Rimini, al Grand Hotel. E quando sono andato a trovarlo all’Ospedale Infermi nella stanza numero 1, dove era morta sua madre, la prima cosa che mi ha detto è stata questa: ‘Senti perché sono tornato? Ascolta le voci di queste infermiere, sono tornato per risentire questo suono’. Era evidente che lui era tornato nel grembo, sapeva che sarebbe finito lì”. “Non ha voltato le spalle alla propria città – scandisce l’ex direttore della Fondazione – l’ha esaltata, l’ha valorizzata, l’ha resa nota in tutto il mondo. Io sono stato spesso negli Stati Uniti per lavoro. Oltre a Napoli, Venezia, Roma, Firenze, conoscono soltanto Rimini, grazie all’immensa notorietà di Fellini”. “La provincia è molto sospettosa verso chi ha avuto successo. A Rimini poi c’è un sovrappiù di autolesionismo, di distrazione, di eccesso di litigiosità che ha sempre caratterizzato la città: spesso si è uno contro l’altro. Maddalena, la sorella, diceva sempre che ‘a Federico non gli hanno mai voluto bene’. E pensava che prima o poi anche la Fondazione sotto questa onda d’urto ne avrebbe fatto le spese. E, bisogna dire, che ha visto lungo. Credo che il vero problema sia il fatto che le amministrazioni della città non hanno mai saputo trovare all’interno della propria identità un posto per questo figlio gigantesco che avrebbe aiutato tutti. E a livello intellettuale, va sottolineato che la Regione è sempre stata più generosa e preveggente nei confronti della Fondazione. E anche in questi giorni di crisi si conferma con il suo pronto intervento“. E Titta Benzi, l’amico di una vita di Federico, sconsolato conferma in questi giorni al Resto del Carlino: “A Rimini siamo in sei, sette persone a occuparci di tenere viva la memoria di Federico. Punto. Per molti riminesi, Fellini è uno come gli altri. Non c’è riconoscenza da parte di questa città. Eppure Federico ha fatto tanto: se Rimini è diventata una provincia il merito in gran parte è suo”.

Saverio Mercadante

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