Home NotizieAttualità Dopo il debito sovrano abituatevi a sentir parlare di exit strategy

Dopo il debito sovrano abituatevi a sentir parlare di exit strategy

da Redazione

Negli ultimi mesi ci siamo – quasi – abituati a sentir parlare di debito sovrano, un’espressione diventata piuttosto comune, purtroppo. Da adesso in poi invece sarà sempre più facile sentir parlare di "exit streategy", cioé del modo in cui l’economia mondiale tenterà di disintossicarsi dalla potente fix di liquidità somministrate da governi e banche centrali.

Habent sua fata verba, dicevano i latini, le parole hanno un loro destino. Negli ultimi mesi ci siamo familiarizzati con l’espressione «debito sovrano», da adesso in poi dovremo acclimatarci nella «exit strategy». La Federal Reserve, la banca centrale americana, ha dato la settimana scorsa un segnale con il rialzo del tasso di sconto dallo 0,50 allo 0,75%, accolto in un primo tempo dai mercati finanziari come la prima crepa nella diga e poi metabolizzato come l’indolore scricchiolio di un vecchio armadio. Ma qualcosa, malgrado tutto, è pure successo.

La exit strategy è il modo con cui l’economia mondiale si disintossicherà dalla potente fix di liquidità somministratale dalle banche centrali e dai governi. La ricetta comune, sia pure con variazioni da Paese a Paese, è stata la seguente. Primo passo, i governi hanno sborsato trilioni di dollari per puntellare il settore finanziario e per far marciare gli stabilizzatori anticrisi, come il sostegno ai disoccupati. Secondo, i tassi di riferimento sono stati portati dalle banche centrali a livelli molto bassi, rendendo più economico per le banche finanziarsi. Terzo passo, gli Stati hanno emesso titoli di debito per coprire i deficit. Quarto, le banche centrali hanno cominciato ad acquistarli, allo stesso modo dei cartaccia-bond emessi dagli allegri compari dei mutui subprime, per dare liquidità al sistema (e garantire che gli Stati riuscissero a collocarli nonostante i bassi tassi e le inquietudini sul debito sovrano). Questo, un tempo, era un peccato mortale che quando i banchieri centrali lo confessavano generava penitenze da brivido, non solo i classici tre pater ave gloria di una volta. Mentre adesso l’insieme di tutte queste operazioni si chiama «quantitative easing», è considerato una Buona Cosa e si traduce nell’ingozzare di liquidità il sistema.

Questa liquidità non è altro che la somma di trilioni di promesse di pagamento. A un certo punto, però, bisogna cominciare a mantenere le promesse, altrimenti salta tutto: l’inflazione schizza alle stelle e il sistema crolla. Come nel caso dell’assuefazione a qualche sostanza stupefacente, non si può smettere da un giorno all’altro, bisogna stringere il rubinetto con gradualità. In gennaio ci si domandava quando si sarebbe dovuto cominciare: in realtà alcune banche centrali, come quella australiana e coreana, lo facevano già da un po’, ma erano banche da poco. Il vero corno d’inizio sembra ora averlo suonato la Fed. Da un momento all’altro potrebbe unirsi la Banca centrale cinese.

Lou Nissart
 

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