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Debito sovrano, pesi diversi per Grecia e Dubai

da Redazione

Dietro le quinte, le mani forti di speculatori internazionali. E i media obbediscono. Secondo gli esperti il test sarà il collocamento, in marzo, dei bond decennali ellenici.

Perché si parla così tanto della Grecia come Paese a rischio e così poco di Dubai? Non è solo una questione di moda. Ci sono “mani forti” di speculatori internazionali che sono in grado di istigare i mezzi di comunicazione contro i loro bersagli, in questo caso non solo la Grecia ma anche l’euro. Queste mani forti trovano in giro per i media (specie anglosassoni) una quantità di teste debolucce che non vogliono prendere atto che i Paesi più nelle peste sono il Giappone, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il cui debito complessivo – pubblico e privato insieme – supera di tre o quattro volte il prodotto interno lordo. Di qui il coro mediatico. Certo non possiamo lamentarci troppo, noi dell’Eurozona e dintorni, perché l’assalto contro l’euro l’ha fatto scendere nei confronti del dollaro da 1,50 a 1,36: il che dà un po’ di seltz ai nostri esportatori e giulebbe ai loro creditori, che sono anche loro creature di Dio, perfino quando sono banche. Ma il troppo stroppia. Solo che in finanza non basta rilevare che qualcosa che si dice è stupido perché cessi di avere efficacia. Bisogna anche dimostrarlo al di là del più irragionevole dubbio, e l’onere della prova è su chi non dispone dei grandi media (e mai in nessun caso su Fox Tv, per intenderci). I Paesi dell’euro presi di mira sono la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna; del-l’Italia è stato fatto il nome ma con molta più discrezione, visto che il Paese non presenta un rapido peggioramento degli indicatori. Gli sviluppi più inquietanti sono quelli della Grecia. L’ultima bomba mediatica è stata la scoperta che, nei primi anni del millennio, alcune colossali operazioni di swap con Goldman Sachs (e forse altre banche) avrebbero permesso ad Atene di occultare una parte del debito e del deficit, consentendole di proseguire a lungo in una politica di spesa eccessiva ma mascherata. Simili operazioni sono oggi escluse dalle regole europee, ma allora non lo erano. Il Parlamento Europeo ha chiesto alle autorità dell’Unione di investigare sulle banche che hanno aiutato la Grecia a celare lo stato dei propri conti pubblici. La Commissione Europea ha chiesto ad Atene di adottare tutte le misure richieste dall’Unione per risanare il bilancio, minacciando anche sanzioni. Il limite è il 16 marzo, dopodiché la Grecia potrebbe di fatto perdere la propria sovranità in questo campo. Un’ulteriore scadenza è il 15 maggio (rivisitazione delle misure adottate dal governo ed eventuale inasprimento se risultassero insufficienti). In Spagna il ministro della Crescita, José Blanco (nella foto), ha denunciato l’aggressione dei media ai danni del Paese: “Niente di ciò che sta succedendo nel mondo, inclusi gli editoriali dei periodici esteri, è casuale o innocente”, poiché vi sono “manovre un po’ torbide” degli speculatori finanziari. Il Centro Nacional de Inteligencia, un organismo statale, ha avviato un’investigazione in proposito. Negli ultimi giorni, la situazione sui mercati si è alleggerita. La Spagna ha collocato con facilità un prestito quindicennale di 5 miliardi di euro, ricevendo richieste 2,4 volte maggiori (12 miliardi); il Portogallo ha venduto buoni del Tesoro annuali per un miliardo di euro con un interesse minore; mentre il differenziale dei titoli decennali greci sui bund tedeschi è sceso fino a poco sopra i 300 tick, dopo avere toccato un massimo di oltre 430 nei giorni più roventi della crisi. Secondo lo strategist dell’Ubs, Justin Knight, i mercati finanziari non si tranquillizzerano finché l’Unione Europea non dirà con precisione che cosa intende fare per sostenere la Grecia. Questo è stato richiesto anche da Atene. Il vero test, secondo alcuni, sarà il collocamento dei bond decennali greci in marzo. Dietro il problema del debito sovrano europeo si profila quello della crescita economica. Il quarto trimestre 2009 si è chiuso con un rallentamento, il che lascia temere un profilo a W della recessione. Anche la crescita tedesca, sulla quale più o meno tutti facevano affidamento per trainare il resto dell’Ue, è in défaillance: negli ultimi tre mesi dell’anno infatti il pil è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente. Spagna e Italia l’hanno visto calare dello 0,1 e 0,2%, finendo l’anno con sensibili diminuzioni, e solo l’economia francese ha fatto registrare una crescita dello 0,6%. Queste cifre sono importanti. Il riequilibrio del debito pubblico è sempre molto difficile, ma in recessione o in stagnazione diventa una specie di via crucis in cui è in gioco la stessa stabilità sociale e politica. Sebbene i Paesi dell’euro non siano affatto i peggio messi, se la crisi del debito dovesse scoppiare proprio fra essi le conseguenze sarebbero profonde. In ogni caso, non si può pensare che un simile dénouement tolga d’impaccio i maggiori debitori mondiali: al contrario, in finanza una crisi tira l’altra, come succede per i cioccolatini. Tranne che una serie di grosse crisi ingoiate una dopo l’altra ingrassa solamente i banchieri, a spese della gente comune.

Paolo Brera

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