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Gli Ogm sono arrivati nel nostro piatto

da Redazione

Mentre la Conferenza Stato-Regioni decide sul da farsi riguardo agli Ogm (organismi geneticamente modificati), sulle nostre tavole sono già arrivati, indirettamente, da tempo. Non si parla di pomodori o zucchine “modificate” in laboratorio, ma dei mangimi consumati negli allevamenti italiani. Quindi bistecche e formaggi, a nostra insaputa, contengono almeno in parte Ogm.

Gli Ogm sono sulle nostre tavole, e noi lo ignoriamo. Non si parla di pomodori o zucchine “modificate” in laboratorio, ma dei mangimi consumati dagli animali allevati nelle stalle italiane. Infatti circa il 25% dell’alimentazione di suini, bovini e pollame è costituita da farina di soia Ogm. Questo numero si evince dai dati di diverse associazioni del settore. Confrontando i dati forniti da Anacer (associazione importatori cereali), Assalzoo (associazione produttori mangimi) o dal Consorzio Agrario di Cremona, la sostanza non cambia. Un quarto dei mangimi utilizzati nello Stivale contiene farina di soia Ogm. Fin qui niente di male, solo se i consumatori ne fossero informati e messi nella condizione di scegliere se acquistare o meno un certo alimento. Non si salvano neppure i cosiddetti prodotti di qualità “Dop”, dal prosciutto San Daniele, al Parmigiano-Reggiano, al Grana-Padano eccetera. In Italia c’è una produzione di soia “Ogm free”, ma riesce a produrre solo 500-600 mila tonnellate all’anno, pari al 5-7 per cento del fabbisogno totale. Quindi l’agricoltura tricolore non riesce a far fronte alla domanda interna di soia, né a competere con i prezzi dei concorrenti esteri. Infatti la farina Ogm viene importata prevalentemente da Usa, Brasile e Argentina, con quotazioni nettamente inferiori al prodotto “naturale”. Vien da sé che sempre più allevatori per incrementare gli utili, o per mantenersi semplicemente a galla, ricorrano alla soia “modificata”.

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