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La passione di un libro o il fascino di un film?

da Redazione

La passione di un libro o il fascino di un film? Spesso cinema e narrativa si rilanciano a vicenda, ma non è così scontato, come ci spiega la scrittrice Simona B. Lenic. L’esempio del "Riccio", lanciato da un libro vendutissimo (ma non altrettanto appassionante) di Burbery, quello di "Le ore", premio Pulitzer di Cunningham da cui è stato tratto un film non indimenticabile. E poi "Nelle terre estreme", libro di taglio giornalistico di cui il film ne ha estrapolato la poesia.

 

 

Come si sa esiste una classifica dei libri. Anzi, ce ne sono diverse. La classifica proposta da Fixing è una di queste. Ma scartabellando qua e là se ne trovano tante su riviste, quotidiani, siti internet o blog. Sbirciando un po’ potrete vedere che alcuni dei libri in classifica sono anche film di successo, o almeno girati e pubblicizzati perché lo diventino.
Se una pellicola, una pubblicità o un attore fanno venire voglia di leggere un libro, per me va benissimo! Mi dispiace giusto un po’ se qualcuno si limita a guardare il film senza leggere la storia da cui è nato. Un film – per quanto fatto bene e ben recitato – è comunque un’interpretazione della storia scritta, un punto di vista, a volte addirittura una rivisitazione. Non ho comunque la convinzione che il libro sia sempre meglio del film. Bisogna accettare che sono due cose diverse, a volte complementari, a volte di due livelli differenti.
Quanto il cinema sia potente lo dimostra L’eleganza del riccio di Muriel Burbery (edizioni E/O), caso letterario del 2007, di nuovo in classifica grazie al film Il riccio nelle sale italiane dal 5 gennaio ma annunciato in ogni forma pubblicitaria esistente già dallo scorso novembre. La storia della portinaia Renée (in alto a destra un’immagine del film) – donna di una cultura straordinaria e di grandissimo gusto ma che si finge sciocca e banale (non si sa bene perché, o meglio a un certo punto lo spiega ma è una motivazione piuttosto deboluccia) – ha incantato e commosso milioni di lettori. Tranne me. La sua amicizia con la giovanissima Paloma, ragazzina così intelligente e sveglia da volersi togliere la vita (?), il suo incontro con l’enigmatico monsieur Ozu, tutta la carrellata di personaggi minori (non poco stereotipati) – con vicende e vicissitudini a seguito – si mescolano a pagine di vera e propria filosofia e critica d’arte (le parti a mio avviso meglio riuscite). Un libro scritto benissimo ma che non mi ha affatto convinta, forse anche a causa delle grandi aspettative che mi ero creata ascoltando critici e lettori entusiasti. Le aspettative sono pregiudizi e il pregiudizio – anche nella sua connotazione “positiva”, anche inteso come “pensar bene” di qualcosa o qualcuno che comunque non conosci – non è mai un approccio corretto. Ammetto il mio errore e ammetto anche che in un caso come questo il film mi incuriosisce molto, perché il regista potrebbe aver trovato la chiave di lettura per farmi entrare dentro una storia che mi ha lasciata stranamente distaccata, una chiave di lettura che mi renda simpatici questi personaggi con cui non ho proprio legato, a cui non mi sono affezionata.
Altre volte capita che per quanto bello il film non riesca comunque a reggere il confronto con il libro. Un esempio per tutti Le ore di Micheal Cunningham (Bompiani), premio Pulitzer nel 1999, portato sul grande schermo con il titolo originale The hours (in alto un’immagine simbolo del film), premio Oscar come miglior attrice a Nicole Kidman nel ruolo di Virginia Woolf. Se non avete visto il film pazienza. Se non avete letto il libro, prendetelo in mano e viaggiate nel tempo, nel cuore di una società che dal 1941 a oggi si evolve lasciando gli esseri umani a inseguirla.
Il tempo va avanti, sfregiato dalla guerra, ma anche quell’orrore si supera, la fragilità umana invece no. Quella rimane. Il peso di vivere, il peso ancora più grosso di non sentirsi mai abbastanza vivi, quel peso che trascina Virginia Woolf sul fondo del fiume è lo stesso peso di Laura Brown, giovane sposa e madre insoddisfatta del dopoguerra che vorrebbe scappare per un giorno, uno soltanto. Un peso che diventa il peso di Clarissa Vaughan e del suo Richard, che sta morendo di aids. Come si può rendere la complessità, l’attualità di personaggi così? Come si può trasmettere l’intreccio sottile e violento di vite all’apparenza così distanti? Non basta una colonna sonora coinvolgente, un cast di attori del calibro di Meryl Streep, alcune immagini d’impatto e nemmeno un’interpretazione da Oscar.


FOCUS

 

“Nelle terre estreme”, di John Krakauer
La vera storia del giovane Chris McCandless. Con più poesia e la musica di Eddie Vedder.

“Da giovane è facile credere che ciò che desideri sia ciò che ti meriti… Pensavo che scalare il Devils Thumb avrebbe sistemato tutto quello che non andava della mia esistenza. Di fatto non cambiò quasi nulla, ma mi permise di comprendere che le montagne non sono un buon ricettacolo per i sogni.
E sopravvissi per raccontare la mia storia”.
da: Nelle terre estreme, di Jon Krakauer (Corbaccio)

 

“Nelle terre estreme” è una sorta di reportage in cui l’autore ricostruisce la storia di Chris McCandless, che nell’aprile del 1992 lasciò casa, famiglia e abitudini, per immergersi negli spazi selvaggi dell’Alaska. Attraverso il diario del ragazzo e le testimonianze di chi lo ha incontrato e amato, Krakauer ricostruisce il viaggio di due anni intrapreso da Chris, alla ricerca della purezza e del senso profondo dell’esistenza. Da questo libro è stato tratto lo straordinario “Into the wild” di Sean Penn, che – distaccandosi dall’approccio “giornalistico” del libro – lascia che sia lo stesso Chris a raccontare la sua storia, tra paesaggi di una bellezza intatta, personaggi di una tenerezza disarmante e una colonna sonora che porta la firma di Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam.

 

Simona B. Lenic

www.simonalenic.it

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