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Reality business: il trash non fa crash

da Redazione

In origine ci fu Pietro Taricone, a dimostrare le potenzialità di questo genere tv, poi spinto agli eccessi. Colpito duro dai talent show ma tutt’altro che finito, il variegato universo del reality ingenera un indotto mondiale di 3,5 miliardi di euro.

 

In origine ci fu il grande Taricone. Pietro. Coatto casertano, superpalestrato, qualche studio in giurisprudenza, amministratore di condominio, buttafuori, il vero protagonista della prima edizione del Grande Fratello. Nella prima apparizione successiva al reality, al Maurizio Costanzo Show, nell’ambito della rubrica Uno contro tutti, Taricone fa registrare alla trasmissione un picco d’ascolto di 10 milioni di telespettatori. Tanto per far capire la potenza del crash televisivo che ebbe il genere all’interno del palinsesto italiano. Ora la tv spazzatura, sembra al tramonto, anche se in Italia il reality ancora tiene abbastanza: questa tendenza mondiale viene fuori da un monitoraggio, condotto nei primi otto mesi del 2009, di circa 100 autorevoli testate giornalistiche di 12 Paesi del mondo (Australia, Austria, Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna, India, Medio Oriente, Russia, Spagna, Svizzera e Usa), commissionato all’Osservatorio Giornalistico Internazionale ‘Nathan il Saggio’ dal Gruppo Sitcom.

Nel resto del mondo il trash senza confini è diventato così estremo da aver fatto addirittura la prima vittima: a fine agosto, un pakistano è annegato durante una sfida subacquea nel corso delle riprese di un reality in stile ‘Survivor’ in Thailandia.
L’emittente televisiva britannica ‘Channel 4′, proprietaria dei diritti, ha annunciato che l’11esima edizione del ‘Big Brother’, prevista per il gennaio 2010, sarà anche l’ultima.
Negli Stati Uniti il programma sopravvive, ma gli ascolti sono sensibilmente diminuiti, a tutto vantaggio di talent show come ‘America’s Got Talent’ e ‘So You Think You Can Dance’. In Australia, sul fortunato format il sipario era già calato per sempre lo scorso anno al tramonto dell’ottava edizione. E anche in Germania il trend è negativo. “La morte per il ‘Grande Fratello’ – si legge sul Mirror – è giunta con l’arrivo dei talent show, dove i contendenti sono premiati per la loro vera abilità di intrattenere piuttosto che per la grandezza della loro bocca”. In Italia con un valore della produzione pari a 89,6 milioni di euro, dati 2008, è prima nel settore dei contenuti televisivi (che non vogliono dire solo reality), Endemol Italia, spodestando la Grunge con quasi 56 milioni di euro, prima nel 2007, e Magnolia di Giorgio Gori, ex enfant prodige di Mediaset. Ma anche la Fascino di Maria De Filippi si difende con circa quaranta milioni di euro. Bibi Ballandi è sui 20 milioni di euro. La Lux Vide dei Bernabei è intorno ai 40 milioni di euro. I dati sono forniti dal Mensile TV. Il valore complessivo dell’indotto generato dai reality a livello mondiale, secondo alcuni analisti è intono ai tre miliardi e mezzo di euro, che provengono soprattutto da società inglesi, americane e olandesi. L’Italia che ha addirittura come capo di governo uno dei più grandi tycoon televisivi del mondo, è nel settore un nano produttivo con circa l’1,5%.
E non è un caso nel 2007 lo spostamento dell’attenzione di Mediaset su chi produce i contenuti rispetto a chi li trasmette.
Il 14 maggio 2007, il 75% del gruppo olandese è stato acquistato per una cifra di circa 2,63 miliardi di euro dal consorzio “Edam Acquisition” formato in parti uguali da Mediacinco Cartera (controllato il 25% da Mediaset innestment e il 75% da Telecinco), Goldman Sachs e il fondo Cyrte specializzato nel settore tlc, riconducibile a John De Mol, il fondatore. La successiva OPA indetta da Edam Acquisition ha portato il controllo al 100% con il successivo “delisting” della società dalla borsa. Attualmente Mediaset controlla quindi poco più del 33% di Endemol (l’11% direttamente, il resto attraverso la controllata spagnola). Per quanto riguarda il fatturato dell’intero mercato mondiale televisivo pubblico e privato, forse a causa della crisi economica, si è registrato un -1,3% nel 2009. L’aumento più significativo è quello delle pay tv: cresce del 4,7%: con i suoi 110 miliardi di euro nel 2008 rappresenta il 41,7% delle entrate televisive nel mondo. I dati sono stati pubblicati dall’Istituto per l’audiovisivo e le telecomunicazioni in Europa che dichiara infatti che “nel contesto di crisi relativamente al settore televisivo nel suo complesso, il segmento della pay tv ha una economia preservata”. Anche le quote del mercato pubblicitario mondiale sono in calo in tutte le tv: -7,5%. Si prevede infatti, che se il trend resta quello attuale, la raccolta pubblicitaria nel 2020 sarà pari a quella rastrellata nel 2008. La buona tenuta del mercato della pay tv per Idata si spiega con la nascita di un buon numero di canali tematici e con lo sviluppo di un’offerta dedicata. Ma per Idata il pericolo proviene proprio da questo meccanismo di successo. E il vero rivale della pay-tv potrebbe essere proprio internet, per sua natura, più incline alla parcellizzazione dei segmenti, e quindi in grado di ampliare l’offerta di contenuti sia professionali che amatoriali. C’è già chi pensa a come inglobarlo e giocare così di anticipo aprendo le trasmissioni televisive al web e stringendo accordi con facebook, myspace e lo stesso youtube. Attualmente la pay-tv è presente in quasi 540 milioni di famiglie, pari al 48%, ed è quasi alla pari con la televisione in chiaro (pubblica o commerciali) e le previsioni di crescita riguardano un +4% per gli abbonati e un +4,7% per il reddito.

Saverio Mercadante

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