Home NotizieAttualità Copenhagen, la Cina preme sugli Usa

Copenhagen, la Cina preme sugli Usa

da Redazione

Al vertice Onu sul Clima dall’iniziale ottimismo si passa al realismo. Emergono i primi contrasti tra i diversi blocchi. Pechino apre all’accordo, ma chiede direttamente al Presidente USA Barack Obama di innalzare l’entità delle riduzioni delle economie avanzate.

I paesi in via di sviluppo furiosi per una bozza di documento finale della presidenza danese che affida ai paesi ricchi il controllo della lotta al riscaldamento globale. Intanto la Ue cerca di ritagliarsi un ruolo chiave per il buon esito del summit, anche se Barroso dubita che si giungerà a un accordo vincolante. Nel video l’analisi del presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza: “Copenhagen conferma un cambio nella geopolitica in materia di Clima”. A Copenhagen dopo l’ottimismo e le belle parole iniziali, si torna al realismo. Inevitabile, visti gli interessi in gioco, che il vertice Onu sul Clima si rivelasse complicato. Al momento di fare sul serio e aprire i negoziati sulle riduzioni e gli impegni – in termini di percentuali e di sostegni economici – sono emersi con evidenza i caratteri dei tre blocchi presenti al summit: le economie avanzate, quelle emergenti e i paesi in via di sviluppo. E con loro, anche i primi contrasti e le prime condizioni di trattativa. Stati Uniti e Cina, protagonisti più attesi – sia per il loro peso internazionale, che in virtù della produzione del 40% in due sul totale dei gas inquinanti – hanno iniziato a fare il loro gioco. Pechino, che aveva annunciato l’intenzione di ridurre le emissioni del 40-45% entro il 2020, ha aperto alla possibilità di raggiungere un accordo, in cambio direttamente al presidente Usa Barack Obama una contropartita: condizione è l’aumento della percentuale di riduzione di emissioni da parte dei paesi più industrializzati – intorno al 35-40% – in cambio di un ruolo costruttivo al tavolo dei negoziati, un impegno di valutare l’obiettivo del dimezzamento delle emissioni globali entro il 2050 e una cospicua partecipazione economica per il miglioramento delle tecnologie verdi dei paesi in via di sviluppo. Obama valuterà l’ipotesi ma, pressato in patria dai repubblicani preoccupati per gli eventuali danni all’industria americana, ha fatto sapere che deciderà usando «il buon senso» e agirà d’intesa con il Congresso. Al centro della discussione spicca il sostengo ai paesi del terzo mondo. 10 miliardi all’anno per il triennio 2010-2012 è la cifra che verrebbe stanziata in favore dei paesi in via di sviluppo, pochi per la Cina che chiede quindi di aprire i cordoni della borsa, ben disposta a metterci di suo. Anche gli stessi paesi del G77 (in via di sviluppo), decisi a non giocare il ruolo degli osservatori passivi, sono pronti ad alzare la voce per avanzare le loro richieste. Soprattutto dopo che martedì è emersa la notizia di una bozza di documento finale della presidenza danese che consegnerebbe il controllo del contrasto alle emissioni nelle mani dei paesi ricchi, stabilendo per questi diritti di inquinamento doppi rispetto alle economie in via di sviluppo che annullerebbe di fatto i principi di responsabilità stabiliti dal protocollo di Kyoto. Un ruolo centrale e di mediazione potrebbe giocarlo l’Unione europea. Al Vertice europeo di giovedì e venerdì i capi di stato Ue dovrebbero discutere dell’impegno economico continentale: la Commissione pensa a 1,5 miliardi per il prossimo triennio, mentre fonti parlano di un contributo 6-7 miliardi proveniente dagli stati membri. Ma a Bruxelles manca chiarezza sull’ipotesi di un maggiore impegno nei tagli ai gas serra. Forte di un impegno formale interno alla Ue di un taglio del 20% entro il 2020, inizialmente si era discusso di alzare la quota al 30%, in cambio di una presa di responsabilità di altri paesi, su tutti Usa, Cina e India, chiamati a spendersi per obiettivi maggiori. Ma il loro impegno è giudicato ancora insufficiente, tanto da alimentare nel presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso la convinzione che Copenhagen non riuscirà a produrre un accordo vincolante, quanto piuttosto solo un accordo politico da perfezionare in seguito. Sull’innalzamento delle riduzioni europee pesano inoltre le reticenze di alcuni stati membri e l’ipotesi sembra essere stata messa da parte. Ma forse non definitivamente, in attesa del momento giusto per giocarla tavolo delle trattative del summit.

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